Sosa: “Sono cresciuto sognando di essere come Diego. Vi racconto il momento più bello col Napoli”

Sosa:

Il Pampa Sosa si è raccontato al canale Youtube di Napolità. Lo storico attaccante azzurro ha parlato della sua carriera a Napoli e della difficile stagione azzurra. Ecco quanto evidenziato dalla nostra redazione.

“A settembre 2004 sono successe tantissime cose. Prima di venire a Napoli ho giocato nello stesso anno con Ascoli e Messina, c’era l’opportunità di restare col Messina in Serie A, non se ne fece nulla e tornai a Udine dove mi diedero in prestito. Quell’anno, come allenatore dell’Udinese, c’era Luciano Spalletti e mi iscrisse anche nella Lista UEFA dell’Europa League. In quel periodo, falliscono Napoli, Genoa e il mercato si riapre. Vidi in TV che Pierpaolo Marino sarebbe stato il direttore sportivo del Napoli e, stando ad Udine, fu il primo a chiamarmi. Anzi, ci vedemmo in allenamento e cominciarono i colloqui a fine agosto 2004. La Serie C mi spaventava, dico la verità. In Serie B avevo fatto 12 gol tra Ascoli e Messina. Pierpaolo Marino, con il quale ho ancora un ottimo rapporto, mi convinse ad accettare l’esperienza promettendomi di tornare a giocare in Serie A col Napoli, dicendomi che ne sarei diventato il Re. Il rapporto con De Laurentiis non era come potrebbe esserlo oggi, anche lui è migliorato molto. All’epoca era uno sconosciuto, uno che aveva comprato la proprietà, ma di calcio era al limite e si fidò molto di Marino. Noi calciatori non parlavamo molto con De Laurentiis, forse l’ultimo anno, perché cominciò a rendersi conto della forza che aveva tra le mani. Il mio rapporto con lui è stato ottimo, ma mi rapportavo molto di più con Pierpaolo Marino.

Credo che il direttore sportivo, oltre a fare il mercato, debba essere molto presente nella quotidianità, anche negli allenamenti. Quando ci sono musi lunghi, quando pensavi di giocare 90’, ti aspettavi di avete più spazio, magari ti manca qualcosa, il direttore sportivo è fatto di questo. La quotidianità è molto più importante per i calciatori che già sono in squadra. Per noi argentini è molto più facile partire da lontano quando si parla di Diego. Ero piccolo, il calcio si giocava alle 15:00 in Italia, le 10:00 in Argentina. Papà mi svegliava e mi costringeva a guardare il Napoli di Maradona. Non sapevo esistesse l’Udinese, il Milan o l’Inter. Guardavo questo piccoletto con la maglia numero 10 giocare dal mio divano. Poi cresci, capisci, giochi in Italia, giochi a Napoli che è una città meravigliosa. Ho 3 figli, mia figlia Valentina è nata al Quartiere Stella. Tutto è collegato con la mia Argentina. Per me è molto facile. Sono cresciuto da piccolo sognando di essere come Diego. Tutti lo sognano, ma nessuno ci riesce. Averlo potuto abbracciare a Napoli, ma anche vederlo allenare lo Gimnasia y Esgrima La Plata, aver indossato la 10, che è stata una delle prime richieste che ho fatto a Pierpaolo Marino, quando sono andato a fargli firmare la maglia, ho chiuso una storia mia personale romantica che ricorderò tutta la vita.

Il momento più bello? Sono tanti. Difficile sceglierne uno. Posso dire il ritorno in Serie A col Napoli, ad Udine, dove entro e faccio gol. Il primo gol in Serie C col Chieti, con 80.000 persone allo stadio. Anche la partita contro Genoa per la promozione in Serie A. Ricordare i momenti vissuti sul campo, a volte sono secondari, rispetto a quanto abbiamo vissuto fuori dal campo.

Tre allenatori quest’anno? Parto dicendo che chiunque ha delle emozioni, viviamo come ci svegliamo al mattino. Quando arrivi ad un successo – qualsiasi esso sia – e nel calcio arrivi come il Napoli l’anno scorso, gestire le emozioni del post scudetto, ho sempre sostenuto sarebbe stato di difficile gestione. Il problema generale, quest’anno, è stato questo. Se a questo aggiungiamo che il Napoli ha preso Garcia, nella prima parte di campionato, il quale dice di non aver visto una partita del Napoli campione, vuol dire mettere in discussione tutto, partendo da Kvara e Osimhen. Si vedeva che, sotto questo aspetto, Garcia non ha mai gestito bene queste emozioni. Quando è arrivato Mazzarri ho detto che mi piaceva, perché conosce la piazza, conosce gli umori, ma ha commesso l’errore di non aggiornarsi da un punto di vista tecnico, tattico e personale. Calzona ha rimesso tutto a posto per quanto riguarda i ruoli, ma è tardi. La situazione ormai è compromessa e nella partita col Monza è evidente quanto ho appena detto. Spalletti? L’ho avuto nel 2003/04, prima di venire a Napoli. Era un altro Spalletti, ma la sua personalità era sempre la stessa. Sono andato un sacco di volte a vedere i suoi allenamenti e ha una gran capacità di gestione nel saper delegare i suoi collaboratori e saper parlare con i suoi calciatori. Si è aggiornato, da un punto di vista tecnico e tattico, al livello dei top allenatori. Quello che abbiamo visto l’anno scorso a Napoli, non lo vedremo mai più in Italia. Il calcio non è soltanto chi fa gol, come lo fai, ma come ti rapporti anche col resto delle squadre che affrontano il campionato. È stato tutto straordinario. Quando andavo a Castel Volturno, mi sentivo come a Disneyland. Non andavo solo a salutarlo, ma andavo ad imparare questo mestiere che non è facile. Ho chiesto il permesso quest’anno. Garcia ha detto che non voleva far entrare nessuno. Diciamo la verità, non mi sono perso niente”.

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