Ferrara: “Andai alla Juve consapevole della rivalità. Primo scudetto il più bello. Maradona? Non faceva pesare la sua grandezza”

Ciro Ferrara, ex calciatore del Napoli, è stato intervistato da Radio Serie A. L’ex difensore ha ripercorso la sua carriera ed i suoi trascorsi partenopei.

“La tua carriera tra Napoli e Juve? Nonostante gli azzurri non avessero ottenuto successi la rivalità era con i bianconeri. Quando arrivava la Juventus al San Paolo c’era una preparazione già nella settimana per poi arrivare alla partita. Una sfida fondamentale per la stagione, al di là del risultato finale in classifica: era importante batterli. Io da napoletano e giocatore azzurro sentivo la rivalità. Il mio periodo coincide anche con alcune vittorie storiche, anzi, le partite contro di loro hanno realizzato una svolta. Penso al 3-1 a Torino l’anno dello scudetto, alla vittoria per 3-0 in Coppa Uefa, lo storico gol di Maradona a Tacconi su punizione. Io debutto il 5 maggio dell’85 in un Napoli-Juventus. Il passaggio in bianconero? Nel 1994 passo ad una Juve in difficoltà, che non vinceva lo scudetto da 9 anni e si stava ricostruendo mi voleva, così come altre squadre. Io ero arrivato a fine contratto, la società mi fece capire che non lo avrebbe esteso per necessità di bilancio e aveva bisogno di vendere. Scelsi di andare alla Juve consapevole della rivalità, ma soprattutto perché pensavo che lì avrei potuto mantenere il livello che ho raggiunto con il Napoli. Per me a 27 anni era necessario”.

“Il Napoli per me è casa, ci sono nato e ho realizzato il sogno di tanti ragazzi di arrivare in prima squadra. Per giunta lo faccio quando Maradona arriva a Napoli. Questo ha rappresentato un po’ una rivoluzione che vede come capo un campionissimo. La Juventus è la consacrazione definitiva, una ribalta a livello europeo perché vinciamo la Champions. Ho la possibilità di tornare in Nazionale. Mi sono trovato in un ambiente diverso da quello della mia città e abitudini. Credo che sia stato importante per trovare nuovi stimoli e nuove motivazioni che mi hanno permesso di avere una lunga carriera, anche se interrotta da un incidente. Ho raggiunto le 500 presenze in Serie A. Napoli è casa, anche se non ci vivo da 30 anni. C’è la mia famiglia e le mie origini, non posso dimenticarle”.

“La mia è una carriera strana. Oggi i ragazzi iniziano a 5-6 anni, poi magari a 14 lasciano perché nauseati. Io gioco in cortile dalle 2 alle 4, un orario in cui non si poteva. Visto che ero il più piccolo giocavo in porta, quindi il mio primo vero provino lo faccio a 14 anni. In 3 anni mi si stravolge la vita, perché a 17 anni vinco lo scudetto allievi con il Napoli, finisco in ritiro con la prima squadra e da lì parte la mia carriera. Per cominciare a giocare a calcio sono partito dal Salvator Rosa, al Vomero. Giocavo nei giovanissimi, poi sono arrivato agli allievi B del Napoli. È stato molto veloce, non ho metabolizzato. Ho fatto anche altri sport, ma non c’era il desiderio di diventare un calciatore a tutti i costi. Mi piaceva giocare ma non c’era questa fissazione di diventare calciatore, quando ho iniziato mi sono accorto di avere certe abilità. Ne parlai poco convinto con mio cugino, ci presero subito. I miei genitori mi dicevano che non potevo allenarmi perché dovevo studiare, per fortuna il presidente Varriale parlò con i miei genitori”.

“Cosa è la strada per un bambino di Napoli? Una scuola di vita, condivisione con quello che hai, ti organizzi e fai le porte, non c’era l’arbitro… Non è una cosa limitata solo a Napoli. Oggi è molto più difficile trovarne, ma quella è stata la nostra scuola, abbiamo iniziato da lì. Oggi le società sono organizzate anche con strutture a livello giovanile quindi è più difficile trovarne. Da Napoli e dalla Campania sono usciti grandi giocatori oltre me e Cannavaro. Hai mai dovuto scegliere altre strade? Non mi è mai capitato, ho vissuto la mia adolescenza in un ambiente tranquillo con una famiglia unita e che mi ha dato dei valori. Ho capito come stare al mondo e distinguere il bene dal male. Contro quanti possibili Maradona hai giocato da bambino? Uno, ci ho giocato insieme. Non ho visto possibili altri Maradona”.

“Ho avuto il morbo di Osgood-Schlatter, può capitare se non si forma bene la cartilagine. Avevo problemi nello stendere il ginocchio. Allora ti operavano, sono stato operato al ginocchio iniettando del siero per facilitare questa cosa e poi sono stato messo sulla sedia a rotelle. Giocavo comunque a pallone cercando di colpirlo di testa. Oggi non si opera più, io sono finito anche un mese con le gambe ingessate. Non l’ho vissuta in maniera negativa”.

“Lo scudetto con gli allievi? Indimenticabile. Avevamo una squadra forte, vincemmo ai rigori con la Fiorentina ad Agnano. Sono bei momenti perché ci sono le famiglie vicino. Per noi era bello. A livello giovanile vincemmo solo un trofeo di Viareggio, per cui lo vivemmo in maniera incredibile. Eravamo convinti di andare in vacanza, poi venne presentato qualche giorno dopo Maradona. Ci dissero che avremmo fatto una partita esibizione al San Paolo per congratularci con voi per lo scudetto. Quindi lui ci premia per lo scudetto. Io ho ancora una foto in cui mi premia, non mi sarei immaginato di trovarmi in ritiro con lui perché di solito andiamo in primavera. Per premio fui portato in prima squadra”.

“Il primo scudetto è il primo della mia città, per la squadra, per una tifoseria passionale. Napoli lo meritava, oggi pensando che siamo una sessantina o settantina a dire di avere la fortuna di vincere uno scudetto qua può dire tanto. Alla Juve sono più abituati a vincere. Vincere qua ha un sapore speciale, perché rimarrà nella storia. Io ho fatto un’altra carriera di cui sono felice, ma lì è più abitudine al successo. La maniera di gioire è anche diversa. Uno scudetto vale uno scudetto, un trofeo ti porta a quel successo dopo un percorso lungo fatto di sacrifici. Quando vinci, gioisci. Poi la prima volta come si dice non si scorda mai. Ma è stata la prima volta anche per me essermi trasferito e vincere subito lo scudetto con la Juve. Ogni successo porta dietro tanti sacrifici, li devi sentire e devi essere orgoglioso di cosa hai fatto. Lo scudetto del Napoli più clamoroso? Il primo. Non me ne vogliano i ragazzi di Spalletti, per loro è il primo. Io non posso non ricordare il primo scudetto, allora è stato un qualcosa di incredibile. Quello di quest’anno è andato in giro per il mondo, sono sicuro che è successo anche ai nostri tempi ma non si è avuta la stessa visibilità”.

Cassano disse che il Napoli del primo scudetto era Maradona più altri scappati di casa… Ho già risposto in maniera educata. Fastidio? Puoi immaginare… non tanto per me ma per rispetto dei miei compagni mi sono sentito in dovere di replicare. Ci scherzo ancora ma è passato. Comunque voglio sempre essere uno scappato di casa e vincere”.

“Il rapporto con Maradona? È pazzesca questa storia. Nasce quando lui mi premia al San Paolo, il solo pensiero di trovarmi subito in ritiro con lui ed altri campioni. Ricordo che davo del lei a tutti. Volevo godermi quel momento perché pensavo di tornare in primavera e volevo sfruttare l’occasione facendomi fare un autografo da Diego. Lui me lo fa e scrive “a Ciro”. Pensai “come fa a conoscere il mio nome?” È stato come sentire di essere stato preso sotto l’ala dei giocatori per aiutare a crescere. Dopo un anno e mezzo divento titolare, ma pur sempre un ventenne. La sua capacità di non far pesare la sua grandezza è stata la sua forza. Diego viene amato dai suoi compagni perché è stato amato anche dagli avversari, pur se gli davano calci di continuo. Lui non si metteva al di sopra degli altri, non ha fatto pesare un passaggio sbagliato, un intervento mal riuscito, è sempre stato d’incitamento. Se non avesse avuto questo atteggiamento sarebbe stato fuori come succede con tutti. Con lui non è mai capitato”.

“Pensate di non aver fatto abbastanza? Sì, è un rammarico che ognuno di noi porta dietro. Non è una scusante, ma a 18-20 anni non avevo la personalità e dirgli di fare attenzione. Per lui ci sarebbe stato bisogno di un percorso diverso, di professionisti diversi. Oggettivamente penso che questo rammarico lo portiamo dentro. Non so se sarebbe servito perché Maradona qua era particolare, ma l’amore e la vicinanza che ha sempre dato ai suoi compagni gli ha fatto meritare il rispetto assoluto per l’uomo e il calciatore che era. Io abitavo sotto casa sua, sapevo quando usciva di casa e che il giorno dopo non si sarebbe allenato. Lo trovavo ad allenarsi nella palestrina che aveva nella sua cantinetta. Poi ci sono stati due momenti importantissimi. Quando lasciò il calcio alla Bombonera, mi invitò come unico italiano; il mio addio al calcio. Tornò per la prima volta al San Paolo in quell’occasione, il 9 maggio 2005, in un’amichevole che organizzammo tra Napoli e Juve. Diego tornò a Napoli per salutare il pubblico e i miei compagni mi presero in giro dicendo che si trattava del suo ritorno e non del mio addio al calcio: avevano ragione. Mi fece un regalo, io non pensavo venisse. Quando lo sentii gli dissi che mi avrebbe fatto piacere vederlo, lui mi disse subito di sì, ma conoscendolo pensavo potesse anche non venire. Quando arrivò si prese l’applauso di tutto lo stadio. Poi ci sono stati altri momenti in cui ci ritrovammo come le legend della Fifa, io lo trovavo sempre con giornalisti e tifosi e quando mi vedeva mi abbracciava subito. Mi ha voluto molto bene”.

“Secondo te qualcuno non lo ha fermato per convenienza? Diego non era semplice da gestire, non so se qualcuno ha cercato di aiutarlo. Il mio è un rammarico. Oggi a 56 anni ho un’altra maturità, ho più elementi per affrontare certe situazioni, all’epoca ancora no. Noi cercavamo di portarlo sempre al campo per vederlo felice, distratto e presente con i compagni. Cercavamo di convincerlo, non potevamo fare altro”.

“Come racconteresti Maradona a tuo nipote? Non ho problemi, per me è stato il migliore di tutti i tempi, non me ne vogliano gli altri. Lui è stato qualcosa di diverso, a mio nipote dirò che li ha visti tutti. Anche il ragazzino lo conosce, lui è nell’immaginario di tantissime persone, che siano del Napoli o di qualsiasi strada. Ha abbracciato tutti senza tipo di distinzione. Questa è la sua grandezza. La cosa più bella che hai visto di lui in campo? Ne ho viste in allenamento. Un giorno prese il pallone a metà campo con Giuliani in porta. Lui era spesso fuori dai pali, appena lo fece tirò in porta. Così gli fece gol anche al Verona. Fuori dal campo invece? Niente di particolare. Vederlo felice per me era importante. Ricordo alcune serate fatte a casa mia con Pino Daniele e lui che balla vicino alla porta. Quando mi sono trasferito a Torino ricordo che portai le cassette di Pino Daniele e Massimo Troisi”.

“La morte di Diego? Ero da solo a casa, non volevo crederci. Sono rimasto senza parole, ho spento il cellulare perché ho ricevuto tantissime telefonate. Mi sembrava tutto irreale, ho fatto una chiamata per avere la certezza. Mi sono ritrovato senza parole, ho immaginato il nostro percorso. Volevo dargli l’ultimo saluto ma per motivi di covid non è stato possibile. L’anno scorso sono andato a Buenos Aires per rivedere i posti iconici in cui ha vissuto e salutarlo l’ultima volta. Mi sono immaginato lui che mi dice cosa ci facessi lì. L’ho immaginato finalmente sereno, è una cosa paradossale ma credo sia la verità. Ora non so se l’hanno spostato, era in un cimitero fuori Buenos Aires. Io mi aspettavo di trovare in un cimitero, è come se fossi entrato in un campo da golf, non era accessibile. Era lì”.

“Oltre lui è doveroso parlare anche di Gianluca Vialli. Ha rappresentato il capitano per eccellenza. Aveva carisma e capacità di trascinare il gruppo. Aveva capacità di relazionarsi, anche quel momento è stato difficile. Con lui avevo un rapporto particolare, lo conoscevo dalla nazionale militare, poi maggiore. Ricordo le telefonate che mi faceva a giugno del 94 quando stavo per andare alla Juventus. Hai fatto 2 anni tremendi che giocavi a centrocampo, lui mi assicurava che avremmo vinto. Ho tanti episodi che mi legano a lui. Una volta tornammo dal ritiro precampionato, lui dormiva tanto. Ad una certa alle 7 di mattina squilla il telefono: era l’avvocato Agnelli, voleva parlare con lui. Cercammo di svegliarlo. Rispose la persona di servizio, poi arrivò Gianluca molto confuso. Ci fu un’amichevole della Sampdoria in cui Gullitt passò alla Doria. Lui disse al telefono di aver visto la partita. Dopo aver messo il telefono giù lesse che aveva segnato un gol di testa e disse: “Cosa gli ho detto?” Ricordo anche che una volta ci invitò a casa sua per uno spaghetto, e ad una certa si accorse che c’erano i ladri in casa. Ce lo disse e quando entrò aveva le mazze da golf all’ingress. Le prese e ce le diede, invitò ognuno ad andare nelle varie stanze. Noi lo seguimmo ma lui disse di dover andare di là nelle altre stanze. Vero che ti voleva al Chelsea? È un piccolo rammarico. Allora oltre lui in pochi andavano all’estero, anche perché la Serie A era il campionato più bello. Io avevo 2 anni di contratto, lui mi disse che mi sarei trovato bene. Gli risposi che non volevo stravolgere tutto, ma è rimasto un piccolo rammarico perché mi sarebbe piaciuto andare all’estero. Lui mi avrebbe aiutato così come fece a Torino. Quando venne a mancare volle pochi intimi a Londra e quando mi chiamò lì ho capito tante cose”.

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