CorSport: “Ancelotti-Sarri, confronto infinito. I numeri dei due allenatori”

È come volere leggere in una palla (di cuoio) per scoprirci il passato: elementare, Watson! Ma la memoria, non necessariamente elefantiaca, può aiutare a scovare dove sia il trucco e dove l’inganno, nel caos del bar sport che si diverte, ossessivamente, a snocciolare ciò ch’è stato e a prevedere quel che catastroficamente sarà: perché il calcio non cambia e adesso va pure peggio, chissà se è solo colpa dei social o se essendosi dilatato progressivamente l’etere ed avendo assunto l’eco effetti sempre più equivoci, bisognerà piegarsi al pensiero. Ancelotti contro Sarri, malgrado loro, inconsapevoli di questa sfida ravvicinata che gravita intorno al proprio Napoli, alle loro differenze, alle diversità, alle strategie, alle filosofie: e seppur fosse possibile adagiarli in un foglio excel o, se vi garba, metterli in ordine su un quadernetto, risulterà complicato poi spingersi nel confronto, perché banalmente varie cose sono cambiate. Né si può azzardare che l’ultimo Sarri, quello venuto fuori dopo tre anni di lavoro, sia comparabile al primo Ancelotti, quello che ha due mesi di allenamenti, qualche amichevole e tre partite alle spalle.

INCREDIBILE. E allora, facciamo un gioco, semplice semplice, e ripartiamo dalle origini dei rispettivi progetti, e pure questa sa di scolastica forzatura, però almeno dà un senso perché trascina all’ora zero, più o meno, per l’uno e per l’altro, all’approccio di un allenatore con la propria squadra e a quello dei calciatori con sistemi funzionalmente diversi. Il primo Sarri, poverino, quello che «non avrebbe mangiato il panettone» per opinione diffusa, quello era ancora immerso nel rombo, si imbatté in una partenza tutto sommato accettabile, contro avversari non temibilissimi (con rispetto parlando) e quando ne uscì dalla terzina (una sconfitta all’esordio a Sassuolo e due pareggi, con la Sampdoria e con l’Empoli, entrambi sul 2-2) decise di rivedere se stesso, di fracassare l’idea del trequartista, di assecondare la natura del tridente (peraltro mai espressa sino a quel momento con Benitez, il predecessore, che con il 4-2-3-1 non aveva fatto poi così male: una Coppa Italia e una Supercoppa italiana) e di rivoltare se stesso o quasi.

DI PIÙ. Ancelotti è ripartito dal recentissimo passato, lo ha rimodellato lievemente, senza mai alterarlo, ha sparso qua e là in preparazione qualche traccia di albero di Natale, ma poche, poi ha lasciato che restasse un’impronta nel sistema, non nell’atteggiamento, da personalizzare: sei punti, nelle prime tre gare, con due rimonte, una sconfitta rovinosa per le modalità, un lieve ondeggiare tra il tridente ed il 4-2- 3-1, che è parso il modello di riferimento, ed è sorprendente, perché sembra (sembra) offrire al Napoli maggior sicurezza, anche attraverso accorgimenti nelle due fasi di gioco. I numeri hanno un’anima, così almeno si dice, e però anche dopo duecentosettanta minuti è complicata scorgerla, non quella definitiva probabilmente: restano le impressioni di ieri (agosto-settembre 2015) e quelle di oggi (agosto-settembre 2018) e quel (in)sano desiderio di procedere per paragoni. Con il senno di poi, senza mai quello di prima.

Fonte: Corriere dello Sport

Articolo precedenteCorSport: “Ancelotti, è arrivato il giorno della verità”
Articolo successivoHamsik a tutto tondo: “Incroci di Champions interessanti, ci vorrà il sostegno dei tifosi. Panchina a Genova? Scelta di Ancelotti…”