EDITORIALE – O’ Sarricino…

Maurizio Sarri è arrivato al grande calcio senza sfarzi, senza il clamore mediatico o tappeti rossi servili stesi ai suoi piedi. Ha conquistato la panchina del Napoli in silenzio, solo ed esclusivamente con la forza delle proprie idee. Non ha avuto lettere di raccomandazione, spinte più o meno generose. Da “umile” uomo di banca ha camminato molto, sfidando la logica di molti per cui la sua scelta di vivere di calcio era errata, sconsiderata. Si è seduto sulla panchina azzurra nel totale scetticismo del popolo partenopeo, che lo guardava con sospetto essendosi abituato ormai al carisma internazionale di Benitez. Pochi, se non nessuno, credevano in lui e nelle sue capacità, ritenendolo non all’altezza di un progetto ambizioso ed aulico come quello del Napoli. Nelle vene del mister, però, scorre sangue mezzo napoletano e mezzo toscano. La cazzimma partenopea mista all’irriverenza toscana era una miccia pronta ad esplodere. La classica idea profana pronta a lacerare la ritualità ecclesiastica con impeto disarmante, sfidando e umiliando i cliché di un mondo arrogantemente ipocrita. Sarri, infatti, diviene a breve un simbolo di onestà intellettuale, sposando i valori del popolo azzurro esaltandoli con quella sana “pazzia”, spesso ricordata e nominata dal mister, di ribaltare il calcio in una rappresentazione vincente di spettacolo e gioco. L’uomo in tuta, all’inizio tanto osteggiato, si trasforma in brand, in marchio di fabbrica meritando il marchio DOP. Il “sarrismo” si diffonde così capillarmente che il buon Maurizio con “na sigaretta ‘mmocca, na mana dint’ ‘a sacca e se ne va, smargiasso, pe’ tutt’ ‘a città.” L’impeto d’amore sboccia tra i tifosi e il mister, i fischi si tramutano in applausi. Un autentico plebiscito per Sarri, i fiori d’arancio sono i risultati che prendono forma e consistenza. L’abito da sposa è cucito con il tulle del bel gioco: il ricamo più piacevole di un gioco troppo spesso brutalizzato dalla miope visione che la vittoria valga, da sola, lo spettacolo. 

Il Napoli e il suo gioco è come “nu bellu guaglione, tutt’ ‘e ffemmene fa suspirà. E’ bello ‘e faccia, è bello ‘e core, sape fá ‘ammore.” Fa letteralmente l’amore con il pallone, amoreggia con la tecnica e si colora con la classe armonica di un collettivo che gioca in undici con la testa di uno. Non è più il calciatore che rincorre la palla ma è essa che corre veloce, come una trottola rimbalza in fraseggi corti e triangoli degni del miglior teorema di Pitagora. La Napoli calcistica è l’epicentro culturale della nazione, il salotto buono di un nuovo rinascimento del calcio. Il filosofo, il maestro, ha un nome e un cognome: Maurizio Sarri

Le vette più ardite in campionato, le notti europee vissute solo con Maradona tornano ad essere normalità in casa Napoli. Azzurri campioni d’inverno, ospiti al Bernabeu e record che si trasformano in figurine da collezionare nell’album della storia del club. La sfida ai grandi ed ai potenti del calcio è lanciata perché Sarri “è’ malandrino, è tentatore”. Il Napoli grazie a lui può far a meno di tutti, l’argentino prima e Milik poi. Come un demiurgo trasforma la creta dandole vita. S’inventa Mertens centroavanti, coniuga il calcio attraverso l’applicazione di una filosofia raffinata. È l’Oscar Wilde dei nostri tempi, un esteta scapigliato, un edonista 2.0 che ricerca la vittoria attraverso la ricerca del piacere. 

Ogni cosa bella, però, non può nascondersi in eterno. “E na bionda s’avvelena, e na bruna se ne more.” Le attenzioni del mondo si intensificano, il “circo” napoletano è ambito in ogni dove. Il circense Sarri è ambito dai grandi del calcio che, in cambio, sono pronti ad offrirgli mezzi, strumenti e “denari” per alzare le tende di un grande spettacolo lontano da Napoli. Il presidente De Laurentiis ha detto vorrebbe tenerlo per almeno altri 10 anni, a patto che lui voglia rimanere. Su queste affermazioni si sono scatenate le discussioni di una piazza che ormai si sente rappresentata nel suo tecnico, che vede in lui e nelle sue qualità la possibilità di scrivere la propria storia. Vede il miraggio concreto del terzo scudetto e, ora come ora, vorrebbe mischiare il proprio sangue con Sarri per dare ossigeno ai propri sogni. L’incertezza presidenziale, a detta di molti, è stata considerata negativa. La verità, però, è un’altra. A contare è il presente, nulla più. Il futuro è tutto da scrivere e per ora non conta. A contare è il momento che non va smarrito, a contare è il patto scudetto di un gruppo granitico che si muove a braccetto con l’idea del mister. A contare è il prossimo impegno in campionato, è così sarà fino a maggio. A contare è l’opportunità storica che quest’anno è troppo vicina per lasciarsela sfuggire. Dopo, solo dopo, si penserà al resto sperando che nessuna Circe irretisca il nostro mister. Questo però, è un pensiero che non deve creare allarmismo. Che il rumore dei nemici non ci distragga, come loro vorrebbero. 

“Ma na rossa, ll’ata sera, cu nu vaso e cu na scusa, t’ha arrubbato anema e core.” Questo potrebbe essere l’epilogo (come potrebbe tranquillamente non esserlo affatto) ma per ora, e almeno fino a maggio, a contare deve essere solo questo: “Tene ‘e capille ricce ricce, ll’uocchie ‘e brigante e ‘o sole ‘n faccia, e’ bello ‘e faccia, è bello ‘e core, sape fá ‘ammore…”

L’amore con il sogno azzurro più forte che esista.

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