Riportare il Napoli in Serie A è stata una sfida personale, intervista a Calaiò

44 reti in 136 partite con la maglia azzurra. L’arciere come esultanza. Napoli, Siena, poi ancora Napoli. Nulla, nella sua carriera, è stato scontato. Ma guadagnato sul campo, a suon di gol. L’ex attaccante del Napoli – ora direttore del settore giovanile della Salernitana – Emanuele Calaiò, si è raccontato in un’intervista esclusiva ai microfoni di MondoNapoli.

Di seguito le parole dell’ex attaccante azzurro.

Buongiorno. Come prima cosa, volevo chiederle come sta trascorrendo questo periodo di quarantena. 

“E’ un periodo particolare, surreale. Eravamo tutti abituati a uscire, stare fuori di casa. Ora è come se ci avessero tolto la libertà. La cosa più importante resta però la salute. Dobbiamo rispettare le norme. La giornata la passo tra esercizi fisici e spesa”.

Lei arrivò a Napoli nel 2005 da Pescara, scendendo in Serie C. A posteriori ha avuto ragione.    

“Ero sicuro della mia scelta. In tutta la mia carriera non ho mai fatto distinzioni per categoria. Ho sempre sposato i progetti a lungo termine. In questo caso, la società era sana e ambiziosa. Io ero giovane, volevo giocare con continuità e mettermi in mostra. E Napoli me lo ha permesso”.

Insieme siete tornati in alto. Forse anche per questo i tifosi la ricordano ancora con affetto.

“Riportare il Napoli dalla Serie C alla Serie A è stata una sfida personale. La città del Vesuvio è stupenda e complicata. Però, se giochi lì e fai bene, puoi giocare dappertutto. In effetti ho raggiunto tutti gli obiettivi. A Napoli ho vinto campionati e sfide personali. Per questo la gente mi dimostra affetto”.

Genoa-Napoli è stata la partita della risalita in Serie A. Lei era in campo. Che emozione fu?

“Penso che quella giornata sia stata una delle più belle della mia carriera. Il giorno prima della partita sogni il lieto fine, ma non sempre accade. Vedere Marassi gremito di tifosi genoani e napoletani che gioivano insieme era bellissimo. L’emozione fu tanta, anche perché quel campionato di Serie B fu molto difficile”.

Per cinque anni è stato a Siena, poi di nuovo Napoli.

“Sì, ritornai a gennaio del 2013 come vice Cavani. In sei mesi debuttai in Europa League, ci qualificammo per la Champions da secondi. Fu una bella esperienza. Poi venne Benitez, che decise di puntare su altri calciatori. Così decisi di andare al Genoa, un altro club che credo fosse nel mio destino”.

Se le chiedessi il calciatore più forte con cui ha giocato?

“Sarebbe troppo semplice rispondere uno degli attaccanti: Cavani, Higuain, Mertens. Ma quello che mi ha stupito di più è stato Hamsik. Già da ragazzino, quando nel Brescia ci segnò due goal contro. Dopo un anno che lo guardavo in allenamento, non riuscivo a capire ancora se fosse destro o sinistro. Marek è stato un calciatore davvero completo”.

Totti ha detto che “sono gli altri che ti fanno smettere di giocare”. Lei è d’accordo?  

“Di solito quando uno smette le motivazioni sono tante. L’età, gli acciacchi fisici. Le società che preferiscono puntare su ragazzi più giovani. Io, dal canto mio, a 38 anni mi sono ritrovato a dover fare delle scelte. E in quel momento è arrivato la proposta di Lotito, che mi ha offerto la possibilità di diventare responsabile del settore giovanile a Salerno”.

A proposito del suo ruolo da dirigente, come procede il lavoro “da casa”?

“Purtroppo abbiamo dovuto fermarci. Lavorando con i ragazzi, la situazione è ancora più complessa. Ovviamente, nessuno può prendersi la responsabilità di far giocare calciatori così giovani. Fino al 30 giugno è tutto sospeso. Spero che potremo ripartire almeno a settembre”.

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