Kalidou Koulibaly. Sognare a occhi aperti

A tre anni dal 22 aprile 2018, abbiamo voluto ricordare il gol di Kalidou Koulibaly alla Juventus attraverso cinque prospettive di cinque autori diversi, sperando di indagare il più approfonditamente possibile cosa abbia significato quel momento per la storia recente del Napoli, e di come sia legato alla napoletanità stessa. Buona lettura!

Koulibaly è la mia madeleine
di Gabriella Mosca

Molti definirono il match del 22 aprile 2018 ‘la svolta del campionato’, e tutti ci avevano creduto. Se fossi Marcel Proust direi che la mia madeleine di riferimento è il colpo di testa di Koulibaly, lo percepisco in tutte le azioni analoghe. Da quella partita sarebbero mancate solo 4 giornate alla fine del campionato e a Napoli avremmo assistito al ballottaggio tra i nomi Diego e Kalidou per i neonati. Fu un gol inebriante, l’Essenza 91 che ci ha fatto perdere il sonno, i sogni e la fantasia. Quel giorno ero a Barcellona, e vidi la partita in videochiamata in hotel, inutile spiegare la gioia nel momento del gol ma il meglio arrivò il dì successivo. La rambla preparata per la festa di Sant Jordi aveva un solo coro, ‘abbiamo un sogno nel cuore’.


Barcelonès e napoletani non si distinguevano più, eravamo un unicum, che, grazie al gol di un uomo, stava vivendo uno dei migliori giorni della sua vita. È facile consacrarsi come campione per un gol al 90esimo, specie se sei un difensore. È meno semplice però far parte di una famiglia ed essere responsabili della felicità di un intero popolo. Sentiamo spesso parlare di calciatori che promettono devozione totale alla maglia, ma quella notte a Torino fu diverso, fu il contrario. Tutta Napoli giurò fedeltà a Kalidou Koulibaly e la sua svettata finale era il sigillo di un tacito accordo che sarà per sempre impresso nel cuore e nella mente di chiunque, quell’anno, abbia sognato grazie a quella rete.

La napoletanità rovesciata
di Michele Cecere

La mia angolazione preferita del gol di Koulibaly è quella ricaricata da un tizio su Youtube il giorno dopo la partita, 23 aprile 2018. L’immagine non è di grande qualità (mentre il pallone viaggia si confonde tra i colori dei sediolini e delle maglie dei tifosi della Juve), e il video è stato registrato se non dalla prima, comunque da una fila di spalti quasi aderente al campo, tanto che a fatica si riescono a scorgere gli scarpini di Callejon. È difficile spiegare il motivo che mi ha portato a consumare questo video, ma forse la risposta potrebbe stare nella grandezza del gesto atletico di Koulibaly, nel nitore del suo corpo. Del resto vedere un uomo sganciarsi a 2.48 metri dal suolo mentre è perfettamente cosciente, con un movimento così armonioso, e schiacciare il pallone fino a farlo sgonfiare e battere uno dei portieri più grandi di sempre solo con il proprio atletismo non è uno dei motivi per cui vale la pena seguire il calcio, allo stadio o davanti alla TV?


Allo stesso tempo, è impossibile negare che il colpo di testa di Koulibaly si sia spinto oltre la dimensione puramente fisica del senso stesso dello sport. L’anno scorso Koulibaly ha detto di ricordare ancora «quell’attimo di silenzio» appena dopo il suo gol, e non credo di allontanrmi tanto dalla realtà se dico che per lui quell’attimo sarà durato un’eternità. Quando penso al calcio la prima immagine che mi viene in mente risale a mio padre, ai suoi silenzi e, visto che non sono quasi mai riuscito a capire cosa gli passava per la testa, ai pochi momenti in cui posso dire di aver condiviso con lui delle emozioni. Il gol di Koulibaly ha aperto ai tifosi del Napoli un nuovo mondo, è stato il rovesciamento della napoletanità, la rivelazione che forse persino noi potevamo farcela. L’abbraccio tra Koulibaly e Callejon, unito all’adrenalina nell’esultanza di Sarri, è stata la cosa più vicina alla felicità che possa esistere su un campo da calcio: «Intanto, nella mia testa, rivivevo tutta la mia vita: attraverso la gioia di un popolo».

Abbiamo colonizzato Torino
di Davide Luise

Non era un giorno come gli altri e non sarebbe stata neanche una notte come gli altri. Juventus-Napoli per ogni tifoso che si rispetti è la partita delle partite. Ma quell’anno l’atmosfera era ancora più tagliente, vibrante. Le due squadre, vicino al traguardo, sembravano giocarsi tutto in una gara. Un po’ come la “palla regina” al bigliardino: “Chi la fa vince tutto”. A fare quella palla fu un nero, Kalidou Koulibaly, il destino nel destino.


Noi popolo dai mille intrecci culturali andavamo a colonizzare per una notte Torino con un ragazzo di colore. Se l’avessimo sognato forse non ci sarebbe venuto così bene. Fu la vittoria di Davide contro Golia, la vittoria della meritocrazia, della forza e del senso di appartenenza: in quel campo non vinse IL Napoli ma vinse tutta Napoli. E il resto non conta, perché nei palmares potranno entrare i nomi di qualsivoglia squadra ma alla fine sui libri di storia verranno raccontate solo le imprese vere e le battaglie e quel giorno ci fu il trionfo azzurro.

Il volto rosso come un papavero
di Antonio Duca

Avevamo sofferto tutta la partita, io e papà, seduti sul solito divano del nostro salotto. La solita frenesìa e l’ansia che contraddistingue ogni partita del Napoli non avevano mancato l’appuntamento nemmeno quella sera. Dominio azzurro, ogni tiro sembrava gonfiare la rete in un mix di illusione e speranza intramontabile. E papà a rassicurarmi: “Stai tranquillo, arriverà l’occasione giusta e la portiamo a casa”. Io non ci credo e continuo a tremare in silenzio, senza dire nemmeno una parola.


Poi, il calcio d’angolo. “Eccoci, e mmo’ dobbiamo segnare, ora o mai più”. Cross di Callejòn e testata di KK: urla, pianto, gioia, passione, adrenalina. Ricordo solo il mio pieno volto rosso come un papavero, ancora attonito. In quel momento ho capito che quella passione e quei 90 minuti a settimana mi avrebbero fatto compagnia per tutta la mia vita.

Quella sera rimarrà, per sempre
di Gaetano Formisano

Ricordo che l’ansia prepartita iniziò quattro giorni prima, il 18 aprile 2018. Quella sera, al termine di Napoli-Udinese, la Juventus era a soli 4 punti di distanza dopo il passo falso di Crotone (Simy non ha mai più neanche tentato una rovesciata, credo). Quella stagione ero praticamente sempre allo stadio, nonostante non avessi l’abbonamento: da Napoli-Nizza per il preliminare di Champions League a Napoli-Crotone, ultima di campionato. Ma torniamo a Napoli-Udinese. Fu una partita decisamente folle, ad un certo punto il Napoli si trovò a -9 in classifica, dopo i 90 minuti a -4. Fu il delirio. Tornando a casa con una corsa extra della metropolitana, ricordo che durante il viaggio non feci altro che pensare alla vicina sfida di Torino. Avevo, però, una strana sensazione: quegli 8 mesi già passati di stagione, mi avevano lasciato la consapevolezza che quel Napoli era nettamente la squadra più forte del campionato.


Pensando a Torino, quindi, ero convinto che il Napoli potesse vincere. Il 22 aprile, tre anni fa esatti, ero a casa con alcuni amici, tra cui un tifoso della Juventus. Ricordo la partita: a parte poche manovre, i bianconeri in campo non c’erano (di fatto, non tirarono mai in porta). La supremazia del Napoli era chiara e lo 0-0 non rendeva giustizia. Verso la fine del match, però, mi pervase, mi travolse, una sensazione così netta, così nitida, come se arrivasse dal futuro: il Napoli, quella partita, l’avrebbe vinta. La stessa sensazione la provai la stagione successiva, durante Napoli-Liverpool: ero allo stadio con un mio amico e, l’azione precedente al definitivo 1-0 di Insigne, gli dissi: “Questa partita, il Napoli, la vince. Sono sicuro”. Passò qualche minuto, e la traiettoria di Callejon per Koulibaly illuminò Napoli e Torino, come un arcobaleno che parte da una città e arriva all’altra. Nonostante la storia non riservò la gioia più grande al Napoli, quella sera rimarrà impressa tra i ricordi della mia adolescenza, per sempre.

 

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