RETROPASSAGGIO – Maradona e Platini, grazie d’esistere!

    I nostri papà ci avranno sicuramente raccontato qualche aneddoto su due fenomeni che hanno rivoluzionato il calcio italiano negli anni ’80: stiamo parlando di Michel Platini e, manco a dirlo, del Pibe Maradona.

    Premettendo il fatto che Platini rimarrà nella storia come il miglior trequartista di sempre e Maradona l’unico giocatore capace di convertire un intero popolo al culto del calcio, è assolutamente improbabile fare un confronto fra i due. Le Roi era, come detto, un trequartista, mentre Maradona una sorta di falso nueve dell’epoca. Ma quest’articolo non vuole essere un confronto tra questi due fenomeni, bensì una rievocazione di quanto buono hanno fatto i più grandi numeri 10 degli anni ’80.

    Partiamo. E’ il 1982 e la Juventus acquista Platini dal Saint-Etienne, è da lì inizierà un’era di successi, ad oggi irripetibili. Scudetti, coppe nazionali e non, e supercoppe. E anche una Champions League (allora “Coppa dei Campioni“), nella tragica notte dell’Heysel.  Platini rimane alla Juventus fino al 1987, quando appende gli scarpini al chiodo e si arma di fischietto, lezioni di tattica ed esperienza per intraprendere la carriera d’allenatore dei Bleus. Una carriera che non porterà alcuna vittoria importante, come invece avvenne da calciatore nel 1984.

    Sempre in quell’anno, ma cinquecento chilometri (chilometro più, chilometro meno) un uomo, anzi una leggenda, stava per cambiare la storia di una città. El Pibe, così soprannominato, era sbarcato a Napoli da fenomeno. Arrivato dal Barcellona per la “modica” cifra di 13.5 miliardi di vecchie lire, Maradona s’apprestava a vivere il momento più florido della sua carriera. Un momento che tutti ricordiamo, che ha come suo apice lo scudetto dell’87 e la vittoria del Mondiale con l’Argentina dodici mesi prima e come punto più basso la vittoria della Coppa Uefa contro lo Stoccarda, al termine della quale Diego chiese a Ferlaino di essere ceduto il più presto possibile.

    Tralasciando questo triste capitolo del libro Maradona-Napoli, la città partenopea nel periodo “Diego” e ” Post-Diego” non era più la stessa. La gente non era più la stessa. C’era il fattore D (Diego, ovviamente) nella testa dei napoletani. Tant’è che molti bambini nati in quel periodo verranno chiamati come il Pibe (tra i quali anche Diego Armando Contento, terzino sinistro ex Bayern e ora in forza al Bordeaux) e verrà allestito un altare (!) per Diego, nel quale si può trovare persino una ciocca di capelli del fuoriclasse dell’albiceleste. Una mania, sì, ma sicuramente il giusto tributo a un uomo che mancherà sicuramente al calcio per il suo talento (non ce ne vogliano Messi, CR7, Bale, Neymar e compagnia) e che verrà ricordato per sempre nella memoria dei napoletani.

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    In Italia, come detto, trent’anni fa questi due uomini hanno cambiato il calcio: Michel con la sua visione di gioco e il calcio di punizione “alla foglia morta”, Diego con i gol, il sinistro magico e l’essere appunto Diego Armando Maradona. A lui, proprio Michel Platini dedicherà questa frase: “Ciò che so fare io con un pallone, Maradona lo sa fare con un’arancia”. Una simpatica affermazione, una manifestazione di rispetto reciproco tra due bandiere, avversarie in campo, accomunate dal numero 10 sul retro della maglia e dal talento degno da fuoriclasse assoluto. Quello che avevano appunto Diego Armando Maradona e Michel Platini.

     

     

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