Rizzoli torna a parlare: “Bufera Bonucci creata dai social. Derby e Barcellona?”

L’arbitro Nicola Rizzoli torna a parlare, questa volta in un’intervista concessa a La gazzetta dello Sport“Una delle cose che mi ha infastidito di più è tutto il polverone alzato sul caso Bonucci: sui social sono iniziati a girare solo dei frame di un istante con un’inquadratura sbagliata e si è creata una bufera. Anche i nuovi mezzi d’informazione dovrebbero essere più attenti quando danno informazioni. Basta vedere il video per capire che non c’è nessun caso Bonucci”.

Keita domenica scorsa le si è avvicinato molto. Ma c’è una distanza da rispettare?
“Non c’è una regola vera e propria, ma un giocatore non può avere atteggiamenti aggressivi. Per questo insegniamo agli arbitri giovani a tenere le distanze. Sul caso Keita, lui è venuto da me in modo calmo, senza gesti o altro, e allora io l’ho fatto avvicinare per parlare. Con Bonucci è ancora oltre: sono andato io da lui perché protestava con l’addizionale, ha continuato a protestare con me e l’ho ammonito. Nessuno, neanche quelli del Torino, hanno aperto bocca su questa cosa. Poi sui social è successo quello che è successo…”

Derby e moviola?
“Probabilmente non la mia miglior direzione quella nel derby, ho sbagliato alcuni cartellini. Così come siamo dispiaciuti per il gol annullato al Torino, ma non è stata una chiamata semplice per il guardalinee. La moviola aiuterebbe, ma solo se certa come per il gol-non gol. Se parliamo di fuorigioco basta sbagliare a fermare l’immagine prima o dopo dell’inizio dell’azione e si sbaglierebbe anche con la tecnologia”.

La tecnologia avrebbe aiutato col Barcellona contro l’Atletico?
“In quella situazione, sì. Dalla mia posizione avevo una prospettiva sbagliata, non ero sicuro che il braccio fosse in area. Poi la palla era carambolata dall’altra mano che sicuramente era fuori area ed ecco perché ho chiamato fallo dal limite. Ma alla fine sapete cosa è successo? I dirigenti del Barcellona e i giocatori si sono complimentati con noi e hanno detto che l’Atletico meritava. Una cultura sportiva che in Italia non sappiamo neanche cosa significa”.

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