Se ancora qualche dubbio su chi è il migliore tecnico, insieme al più estetico Pep Guardiola, degli ultimi due decenni calcistici dovesse ancora costellare la mente di qualche tifoso, dopo la gara di ieri giocata contro la Lazio, diventa assolutamente inspiegabile.
Carlo Ancelotti non ha eguali, per preparazione mentale, tecnico-tattica e adattamento alla squadra. Ha saputo accogliere un robot sincronizzato su un solo modello di programmazione e riprogettarlo senza annientare ciò che di buono conteneva. E questo è il merito dei grandi.
Nella gara di ieri, infatti, un Napoli sceso in campo senza ben quattro titolari (Allan, Koulibaly, Insigne ed Hamsik) ha annichilito la Lazio sotto ogni punto di vista. Come mai? Già, perché oltre che meriti di cambiamento, Carlo è incredibilmente riuscito a sradicare dalla mente di tutti la concezione dei titolari. “Non c’è una formazione ideale” sentenzia dopo la vittoria di ieri il tecnico di Reggiolo. Ce ne siamo accorti, verrebbe da rispondere.
Centrocampo inedito, ma efficace
Del resto, nonostante un centrocampo centrale del tutto inedito, formato da Diawara e Ruiz, il Napoli non ha avuto problemi nella gestione del possesso. Grazie ai meriti del singolo, il numero 8 spagnolo l’ha fatta da padrone in lungo e in largo, e ai movimenti di squadra, di cui ha beneficiato tutta la manovra azzurra, Milik compreso.
Giocando con due punte, uno tra Mertens e Milik scendeva sempre ad aiutare la gestione della palla, così da permettere al compagno di attaccare l’area con i tempi e il movimento giusto. Le sovrapposizioni dei terzini, a sinistra Rui e a destra Malcuit, hanno invece permesso grande gioco tra le linee laziali agli esterni Zielinski e Callejón, particolarmente ispirati.
Il gioco in ampiezza ha permesso di arrivare spesso al tiro: difatti, i duelli laterali vedevano sempre superiorità numerica azzurra contro gli esterni di centrocampo romani, perennemente costretti a giacere bassi. Particolare giovamento ha tratto Milik, per il quale sono arrivati molti cross e inviti a concludere in porta direttamente dal fondo. Una di quelle lacune che il Napoli aveva da troppo tempo e che finalmente sta colmando.
Novità in pressione
Data anche la prudenza infausta di Inzaghi, che si affida sempre al suo solito 3-5-1-1, la partita ha viaggiato su binari a forti tinte azzurre. Unico vantaggio laziale è stata la superiorità numerica a centrocampo (4 vs 2), mai sfruttata però in pieno, a causa dell’efficace pressing basso che Ancelotti ha richiesto ai suoi, a differenza del passato.
Stringendosi intorno al limite della propria area, eccetto qualche colpo di testa di Milinkovic ben sventato da un impavido Meret, il Napoli ha tolto alla Lazio il pane per i propri denti: le ripartenze veloci, gli strappi in verticale che Luis Alberto, Lulic e Lukaku avrebbero potuto impartire. L’atteggiamento è poi stato favorito dalla mancanza di palleggio in casa laziale: nei vari tentativi di contropiede, infatti, anziché ragionare, gli uomini di Inzaghi hanno quasi sempre preferito la giocata verticale per Immobile, spesso irretito in quattro o cinque maglie partenopee.
Correa ha (quasi) cambiato il match
Sotto di due reti al termine del primo tempo, la svolta che stava per cambiare il match in favore dei biancocelesti è arrivata dalla panchina: dentro Correa, fuori Lukaku: panico. Se non per le eccezionali doti tecniche, il trequartista argentino s’è fatto notare sopratutto per la sua indomabilità.
Svariando insieme a Luis Alberto su tutto il fronte d’attacco, l’ex Samp non ha mai dato punti di riferimento, così da ingabbiare la difesa del Napoli, sempre indecisa sulle chiusure. Senza la velocità in anticipo di Koulibaly è stato infatti difficile decidere di andare a prendere alte le mezzepunte avversarie.
Probabilmente, se non fosse stata per l’espulsione di Acerbi, il Napoli avrebbe continuato a soffrire fino alla fine le incursioni laziali. Proprio su questo bisognerà lavorare: è mai possibile che l’ingresso di un solo calciatore, neanche poi fosse, con tutto il rispetto per Correa, un top player affermato, possa dirottare i binari di una gara già indirizzata dalle prodezze del ritrovato Callejón e Milik?
Ma con i se ed i ma non si va da nessuna parte: l’unica certezza è che il lavoro di gestione della rosa sta ripagando con gli interessi. Alla faccia di chi dava per spacciato la più grande leggenda ancora in attività su una panchina: Re Carlo si è finalmente ripreso il trono.