Esordire nel racconto di una partita anomala quanto insufficiente (in tutto, dall’arbitraggio alla mentalità dei calciatori alle condizioni del campo di gioco) come Napoli-Chievo non è un’impresa facile. Ma le analisi servono a crescere e questa squadra ne ha ancora un bisogno irrefrenabile.
L’atteggiamento arrembante di un buon Chievo messo in campo dall’appena rientrato in trincea Mimmo Di Carlo è solo il pretesto per le brutture di un Napoli svogliato.
A partire dall’approccio al match, uno dei peggiori in stagione, fino ad arrivare agli strenui combattimenti finali nell’area di Sorrentino che non hanno mai scalfito il muro clivense.
Le imprecisioni di Insigne, Mertens e compagnia hanno fatto il resto: 17 tiri (di cui ben 10 nello specchio della porta) e 20 corner sono troppi, visto anche il potenziale offensivo di cui dispone la rosa partenopea, per non concretizzare una superiorità a tratti disarmante.
Mea culpa
Mea culpa, dunque. Deve farla tutta la squadra, perché se gli errori tecnici possono capitare e susseguirsi uno dopo l’altro nel corso di pochi minuti, la mancanza di determinazione e fame di vittoria, per una squadra che non ha vinto niente, è inammissibile.
Dopo un inizio sciagurato e malaugurante, coronato dall’errore in fase di impostazione di Koulibaly dopo 15 secondi netti e dai continui tentativi di dribbling di un irritante Ounas, il Napoli ha fronteggiato bene il Chievo, stringendolo nella propria metà campo.
Ma ad un vero e proprio arrembaggio è corrisposto un nulla di fatto. Oltre alla scarsa fortuna e lucidità, gli azzurri sono sembrati incapaci di costruire un’azione pulita e lineare, incaponendosi in giocate personali del tutto fuori luogo o, in alternativa, soluzioni improbabili come i continui cross alti di Malcuit, perfetti per una torre che non c’è.
Cambiar non nuoce
A tutta l’atmosfera opaca e nervosa dello scenario di Fuorigrotta vanno poi aggiunti i limiti tattici. In fase di costruzione, infatti, il Chievo ha sempre avuto libertà totale di impostazione, avendo un centrocampo a 3 più Birsa, mentre Zielinski e Diawara contraevano sempre difficoltà ad aggredire gli avversari.
Proprio per questo motivo risulta incomprensibile il mancato ingresso di Ruiz, magari per uno dei tanti attaccanti in campo, che avrebbe garantito, oltre che tecnica, quell’intelligenza nel posizionarsi tra le linee dei veneti che tanto è mancata agli uomini di Ancelotti.
Destra-sinistra
L’errore nell’interpretazione c’è stata: giusto essere offensivi e schierare quattro punte per allargare il gioco avversario, ma se poi questo non succede per evidenti errori tecnici dei calciatori in campo, perché non cambiare e insistere nel centro del campo anziché allargare sempre il pallone anche quando non necessario?
Ecco che, dunque, quella che doveva essere l’arma in più si è rivelata in realtà a doppio taglio: la larghezza del gioco ha portato solo palle perse in continuazione e poca densità nella zona nevralgica, consentendo al Chievo di ripartire con tranquillità.
Quando il gioco si fa duro
La fortuna, va detto, non può essere controllata. Il Napoli ha beccato due pali, uno con Insigne e l’altro con Koulibaly a distanza di una manciata di minuti, che se entrati avrebbero sancito un finale trionfante e sereno.
Piano, dunque, con i drammi. Nulla è cambiato. La Juventus scivola a -8, suprema verità. Ma il Napoli deve fare la corsa solo su se stesso, pensando ora alla Stella Rossa e successivamente all’Atalanta. Il gioco si sta facendo davvero duro. E buttare un lavoro così ben organizzato sarebbe un peccato. Per tutti.