Insieme a Marek Hamsik è stato l’anima del primo Napoli veramente forte dell’era De Laurentiis.
Qualche anno è passato ma il ricordo, piacevole e indelebile, resta.
Quel ragazzo dai capelli lunghi, un poco sovrappeso e dallo sguardo timido e imbronciato, diventò a Napoli un campione vero.
Lavezzi era un esterno destro di attacco dal guizzo e dalla progressione irresistibile, vero combattente sul terreno di gioco.
Con la maglia azzurra ha infiammato il Maradona (allora ancora chiamato San Paolo), con giocate funamboliche che, a volte, ricordavano il suo più celebre connazionale, il povero Diego tutt’uno con Napoli squadra e città.
Le sue prodezze ci portarono in Champions e, dopo 24 anni, nuovamente al successo: accadde a Roma in una calda sera di maggio. La Juventus, campione d’Italia da imbattuta e allenata, guarda caso, da quell’Antonio Conte che oggi apprezziamo da vicino, fu sconfitta in finale di Coppa Italia grazie alla rete di Cavani su rigore e dal sigillo finale di Hamsik.
Quella fu l’ultima gara del Pocho in maglia azzurra. Lasciò il segno, come era spesso abituato a fare, con il guizzo che ci fece guadagnare il rigore, proprio quando la gara si stava facendo sempre più complicata, e con le lacrime di sincera gioia a fine partita.
Andò nel ricco PSG, e anche in Francia si fece apprezzare per impegno e serietà.
Ci eravamo un poco persi di vista, qualche notizia preoccupante circa il suo stato psicofisico era rimbalzata da oltre oceano. Non deve essere semplice per i campioni il ritorno ad una vita più anonima, lontano dal terreno di gioco.
Con piacere lo abbiamo rivisto domenica sera al Maradona, sorridente e sereno ha riabbracciato Napoli, assaporando l’affetto sincero di chi non dimentica i suoi figli, anche se sono lontani.