Buffa: “Maradona è stato il non-napoletano che più di tutti ha rappresentato Napoli. Dopo un suo gol al Milan, Galli mi disse che era inumano”

Federico Buffa, giornalista, è stato intervistato da Il Corriere del Mezzogiorno. In questa, si è parlato a proposito della figura di Diego Armando Maradona e non solo, visto che egli proporrà al teatro Diana il giorno 31 marzo uno spettacolo teatrale incentrato su figure come El Pibe de Oro, Sivori e Cesarini. Di seguito, le sue parole.

Beh tanta roba, veramente non si sa con quale domanda iniziare.


«Io sono affascinato dall’Argentina, ha tanto a che fare con noi. Gli italiani sono chiamati “tanos” diminuitivo di napoletanos, prima ondata di immigrazione dal nostro Paese. Borges diceva che gli argentini si sentono italiani che parlano spagnolo e pensano come i francesi».


Sì, ma grandi fuoriclasse con la palla al piede: Cesarini, Sivori, Maradona. Tutti e tre hanno a che fare con Napoli. Sono storie che si legano?


«Insieme hanno vinto dieci scudetti italiani, non è cosa da poco. Le loro vite si intrecciano. Ho scritto questo spettacolo nel bar del Petruzzelli a Bari, di getto. C’è tanto da raccontare. Cesarini, grande campione, alla Juventus dal 1929 al 1935, fu l’uomo che scoprì Sivori. Nelle giovanili del River parla a quel piccolo campione. “Tu devi andare a giocare in Italia”. A Sivori, cognome che viene dalla Liguria, avevano detto del Genoa. “No, no. Tu devi andare alla Juve. È quella la tua squadra».


Sivori diventa bianconero. E poi?


«I due si rincontrano nel Cesarini, famoso per la zona Cesarini, gol segnati all’ultimo minuto, allena il Napoli. Sivori è il campione della Juve e deve giocare con i bianconeri al San Paolo. Se il Napoli perde va in serie B. Omar non vuole giocare, non vuole andare contro il suo maestro che considera come un padre. Cesarini lo viene a sapere e va da lui. “No, tu devi giocare perché devi dimostrare quello che sei”. Sivori gioca, segna tre gol, la Juve vince 4-0 e il Napoli finisce in B. “Mi dispiace” dice a Cesarini. E lui:“A me no, hai dimostrato quel che sei e che non mi ero sbagliato sul tuo valore».


E il legame Sivori-Maradona?


«È il 1978. Si gioca il Mundial d’Argentina. Ricordate quella famosa intervista di Diego bambino nella favelas che dice “sogno di giocare il Mondiale e di vincerlo”? Per lui è la cosa più importante. Ma l’allenatore dell’albiceleste Menotti non lo convoca. Maradona cade in una profonda tristezza. A quei tempi in Argentina non si poteva parlare di politica per la dittatura. Era il calcio l’argomento più discusso. Così El Grafico, il più importante giornale sportivo ha un’idea: mandare un personaggio famoso ad intervistare Diego. La scelta cade su Sivori. Quando gli parla, Omar gli spiega che non deve disperarsi e dice una cosa che a Diego si stampa per sempre nel cuore. «Escuchame Pibe… Vos tenés la verdad del fútbol adentro y toda una vida para mostrarla”. Maradona non lo dimenticherà mai più. Anche quando vince il titolo in Messico nel 1986 il suo rammarico è per il ‘78. “Volevo vincere quello”».

Anche se quella nazionale «serviva» la dittatura dei colonnelli?


«Diego veniva da una famiglia di peronisti che si erano trasferiti a Buenos Aires proprio per seguire Peron. La madre, Salvadora Franco, donna Tota, era una grande ammiratrice di Evita Peron. E volle partorire in un ospedale che portava il suo nome. Il più vicino era a Lanus. E Diego nacque lì. Peronista anche lui già da bambino. Un giorno, da giovanissimo calciatore, il bus su cui viaggiava con il padre venne fermato dai miliziani. Volevano sapere se c’erano peronisti. Poi videro Maradona con un pallone in mano. “Perché?”, chiesero. Il padre rispose: “Perché mio figlio è un calciatore”. “Faccelo vedere”. Diego prese il pallone e palleggiò ininterrottamente per dieci minuti. I miliziani li lasciarono andare. Maradona era peronista ma per lui il sogno da bambino di vincere il Mondiale era importantissimo».


Quante cose su Maradona…


«Devo confessare che questo spettacolo l’ho scritto per Diego. Poi ho messo dentro anche Cesarini e Sivori».


Ma a Napoli…

«Sì, se facessi uno spettacolo solo per Napoli lo farei unicamente su Maradona. E lo replicherei per trenta serate all’anno. Al Diana starò in scena quindici minuti più del normale. Per raccontare Maradona. E voglio farlo da lombardo, imparziale e distaccato. Perché Diego mi ha fatto soffrire tanto con il mio Milan…».


E allora ci dica, Diego è argentino o napoletano?


«Incarnava entrambe le cittadinanze e lui le ha scelte tutte e due. È stato il non-napoletano che ha rappresentato di più Napoli nel mondo. L’ha difesa e gliela hanno fatta pagare. Italia ‘90. Al San Paolo c’è la finale Italia-Argentina. Per chi tifano i napoletani? I pareri sono contrastanti. Paolo Sorrentino racconta che durante l’intervallo quando si sentirono dei fischi contro Diego il padre gli disse di tifare Argentina e così fecero molti altri. L’albiceleste vinse ai rigori e l’ultimo fu tirato da Diego. Quando qualcuno gli chiese perché i napoletani avessero tifato per lui, rispose: “Andiamo su tutti i campi d’Italia e ci gridano colera, sporchi, Vesuvio lavali col fuoco. E ora volete che tifino per voi?”. Gliela fecero pagare. Alla finale di Roma fischiarono l’inno argentino. Poi nel 1991 il controllo e la cocaina. Quando tornò, al Mondiale americano, perché gli Usa lo volevano per business, il controllo, il doping e la squalifica. Da quel momento Diego è diventato non solo il paladino di Napoli, ma l’icona di tutta la gente onesta contro i farabutti».


Scusi se insistiamo con Diego. Racconterà un suo gol?


«Sì, ma non quello del secolo. Bensì il secondo contro il Milan in casa, nell’anno del primo scudetto. Lancio di Giordano, stop a seguire, controllo palla con l’altro piede e gol. Filippo Galli che in quella partita lo seguiva come un’ombra mi ha detto: “Un uomo poteva fare il primo stop ma solo un felino poteva controllare il pallone come ha fatto lui e metterlo in rete, inumano”».


A Napoli Diego è venerato quasi come un santo laico. Si può capire?

«Sono stato più volte nei vicoli della città, al murale dei Quartieri Spagnoli. A Buenos Aires sono stati censiti 350 murales di Diego. A Napoli si può partire da quella cifra ma poi le sue immagini sono incalcolabili. Anche questo racconterò nel mio spettacolo napoletano, da non-napoletano».

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