Matteo Politano: un leader silenzioso

“Sono pronto ed emozionato per la mia nuova splendida avventura, in una bellissima città con una grande tifoseria. Non vedo l’ora di scendere in campo per questi colori!”. Così si presentò Matteo all’ombra del Vesuvio. Sguardo timido, frastagliato, in quegli occhi si leggeva la paura di sbagliare, ma allo stesso tempo la voglia di rivalsa. Il desiderio della continuità e soprattutto il disperato bisogno di una piazza calorosa, che lo appoggiasse nei momenti bui.

Antonio Conte lo reputò un giocatore non idoneo al suo stile di gioco, perché non si ”sacrificava” sulla fascia, non compiva le due fasi di gioco, non riusciva ad imporsi negli allenamenti ”militareschi” del mister italiano e dunque, oltre ad un doppio passo e un tiro ad effetto, non poteva dare di più ai colori nerazzurri.

Gli azzurri erano sulle sue tracce dall’epoca sarriana, quando incantava i tifosi emiliani al Mapei Stadium, ma De Laurentiis non affondò il colpo e scelse Simone Verdi. Così, il 28 gennaio dell’anno scorso, si concretizzò questo tanto atteso matrimonio. Nel caos totale: la squadra era distrutta mentalmente dopo l’ammutinamento, prestazioni insufficienti accompagnate da sconfitte e dall’esonero dell’attuale tecnico dell’Everton, Carlo Ancellotti.

L’ala destra non avrebbe potuto di certo fare i miracoli e il pubblico, infatti, non intravide subito in lui l’uomo in più di cui la squadra avesse bisogno in quel momento. Il tempo passa, le cose cambiano. ‘‘Il peggior nemico della creatività è la mancanza di fiducia in se stessi”, scrisse la poetessa statunitense Sylvia Plath, da cui il nostro protagonista prese la forza necessaria per il cambio di rotta e da qui nacque il cambiamento. Ringhio Gattuso incominciò a crederci e affidò l’eredità di Josè Callejon a Matteo e al compagno messicano, El Chucky.

Arrivò quel 17 giugno, il tiro dagli 11 metri nella finale di Coppa Italia vinta contro i bianconeri, il 21 la scaraventa in rete – ove divenne subito virale la sua esultanza, dove ammutolì la panchina bianconera per le “chiacchiere” lungo il tragittò che lo portò sul dischetto – e da lì inizia la sua magia, la sua avventura a Napoli.

Inizia l’attuale stagione, il 7 che per anni ha onorato la maglia e percorso infiniti km non c’è più, si deve fare affidamento alla velocità del Chucky e al mancino naturale di Poli. Il famoso ”veleno” che il calabrese in panchina invoca nelle conferenze stampa, entra letteralmente in lui, e così quel sinistro magico si fa spazio sotto i riflettori del Maradona. Prove di coraggio e carattere, al servizio della squadra, l’intesa col gruppo aumenta, il feeling con la maglia azzurra cresce sempre di più.

Le statistiche parlano chiaro: 8 gol e 4 assist in Serie A in 25 partite con la media di uno ogni 154 min, 2 gol in 8 partite in Europa League tra cui quello che decise il match contro la Real Sociedad e l’unico gol in 4 partite in Coppa Italia nel poker contro la Spezia. Tirando le somme, in un anno e 52 giorni napoletani ha siglato 13 gol e 6 assist. Nell’ultima partita a Milano il suo viso è apparso su tutte le prime pagine dei quotidiani nazionali per il gol partita che ha regalato 3 punti fondamentali contro il Milan.

Ragazzo umile, talento naturale, nel Napoli che verrà il suo nome merita di esserci. In terra campana ha dimostrato il suo vero valore, questione di fortuna? Io dico questione di coraggio! Matteo Politano: il leader silenzioso.

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