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Gattuso e le tragedie Shakespeariane

Il Napoli esce sconfitto contro l’Atalanta, e brucia in due tranche uno dei pochi obiettivi stagionali alla portata della squadra di Gattuso: la finale di Coppa Italia. Perde in un sol boccone quella Coppa che l’anno scorso fu la magra consolazione di una stagione a dirla tutta deludente per i risultati, e che ora rischia di passare per disastrosa. Il gioco del Napoli senza i senatori non è altro che una parola scritta su un pezzo di carta, sussurrata a voce bassa nello spogliatoio e che in campo si traduce con qualche tocco all’indietro e una pressione che non porta a nulla se non a scivoloni clamorosi.

La partita inizia con il Napoli che crea e prova a spingere nei minuti iniziali, ma che come a Genova dopo 10 minuti va sotto. Il pallone viene scaricato sui piedi di Zapata, che si gira, dalla lunga distanza inquadra la porta e con una conclusione siderurgica batte Ospina. Ad aiutare il colombiano non il vento che ad inizio era forte su Bergamo, ma la difesa del Napoli, che non pressa, Maksimovic e Hysaj non si capiscono e lasciano un varco enorme che viene colmato dalla conclusione dell’ex di turno.

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Dopo soli 5 minuti a far capolino nell’area di rigore azzurra è ancora Duvan Zapata, ma non per segnare il 2-0, per servire l’assist di sponda a Matteo Pessina, eroe di serata a fine di partita, che raccoglie quindi l’assist totalmente smarcato sotto gli occhi di Rrahmani e Ospina non può nulla con il pallone che scheggia il palo.

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Il primo tempo si chiude con i bergamaschi in vantaggio, Gattuso nel finale sostituisce Hysaj, al suo posto Mario Rui, e ad inizio ripresa anche Politano prende il posto di Elmas in evidente affanno. Il Napoli cambia modulo, via il 4-3-3 ed entra in scena il 4-2-3-1; Insigne fa da trequartista con Lozano a sinistra e Politano a destra. Il Napoli per circa 20 minuti nel secondo tempo cambia vestito, mette quello delle belle occasioni e riesce anche a segnare un gol – un po’ fortunoso – con Lozano e prende coscienza dei propri mezzi. Prova a spingere e sfiora il gol del 2-2 con Osimhen vittima della bravura di Gollini in anticipo.

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Nel finale il vestito delle grandi occasioni cade, un po’ come nella favola di Cenerentola, a mezzanotte tutti i merletti mutano in stracci, evidenziando il vero volto di questa squadra. Gli azzurri quindi retrocedono allo stadio del primo tempo, e lasciano ancora spazio all’Atalanta per il terzo gol, quello del 3-1 atalantino: in gol ancora Pessina. Il giovanissimo talento ancora una volta coglie di sorpresa una difesa in affanno e totalmente scoordinata.

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A fine partita il bilancio è disastroso. I difensori fanno fatica a fare ciò che dovrebbero, e i loro volti disillusi sono lo specchio di una partita, per loro mai giocata. Il centrocampo senza Demme – con Bakayoko evidentemente fuori ruolo – ne risente e la manovra è costantemente rallentata. In attacco la profondità è il comun denominatore degli interpreti ma che a fatica si concretizza con il possesso palla, considerate lo stato di Osimhen – con una condizione ancora da ristabilire – e gli automatismi ancora da ricollaudare con Insigne, disconnesso con il pianeta calcio. Uniche note positive Lozano e Politano, che da diverse partite provano a riportare questa squadra sotto rete e ad alternanza segnano qualche gol, ma il carillon ha il meccanismo inceppato e altro che musica, produce solo rumore.

Una “tarantella” che dura da troppo, e che condanna questo Napoli ad una tragedia nella tragedia. Gattuso dovrà rifarsi ai finali delle opere di Shakespeare, nella quali non importa cosa accada di tragico o drammatico, alla fine tutto torna alla stabilità iniziale. Si spera quindi in un finale Shakespeariano per questo Napoli che ha bisogno subito di ripercorrere la retta via nel prossimo turno contro la Juventus per non rendere questa tragedia una vera catastrofe.

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