Lo Stadio “Diego Armando Maradona” è solo l’inizio, manca “l’ultimo passo”

Quando Rafa Benitez sedeva sulla panchina del Napoli, cercò di trasformare il club in una squadra “internazionale”, creando base e ambiente secondo i metodi più in voga nel grande calcio europeo. In una delle sue interviste più famose, sottolineò come si fosse operato molto bene nella rifondazione, ma nonostante tutto, la differenza con i grandi club c’era, e per ridurla bisognava compiere “l’ultimo passo”, il più difficile, ovvero non sbagliare sul mercato, avere un ambiente tranquillo e giocatori motivati.

L’ultimo punto può essere inteso con la mentalità che essi devono presentare in campo, ma come fare a spiegare ad un ragazzino che il Napoli può essere una grande chiamata?  Creando un’identità, che al momento non c’è.

Il club azzurro non ha l’appeal della grande squadra, ma solo quello del “trampolino di lancio” che ti consente di raggiungere lo status di calciatore pronto per un top team. Se nulla dovesse cambiare, la dimensione resterebbe invariata e la squadra non crescerebbe più del livello attuale.

Bisogna realizzare un’identità che dovrà calzare ad ogni singolo tesserato non appena varca il centro d’allenamento. Giocare nel Napoli non dev’essere una scelta di ripiego, ma un onore, perché va dato tutto per una tifoseria che vede la sua squadra come un qualcosa di più di guardare la partita la domenica, devi giocare per un popolo, essere come Maradona che ha vinto quando sembrava impossibile, sentire il calore dei tifosi. Avere lo stadio intitolato al calciatore più rappresentativo è il primo passo per dare il giusto peso a chi dovrà giocare, ma non è il solo. Certo che se un atleta non indossasse la maglia con queste motivazioni o non le apprendesse, difficilmente troverebbe un posto di rilievo nel cuore dei tifosi, ciò graverà anche sul team, poiché senza l’attaccamento i calciatori non saranno disposti a dare il 100% in ogni partita.

Un esempio può essere il Liverpool. Sulle rive del Mersey, dopo lo scivolone di Gerrard del 27 aprile 2014 che costò quella maledetta Premier League, si sono vissuti degli incubi, con la squadra fortemente ridimensionata e il morale a terra, sembrava il prequel di un periodo buio. Quel che però non hanno mollato i Reds, è la loro forte identità: vestire quella maglia, giocare ad Anfield che è uno degli stadi più caldi del mondo non è mai una cosa normale. Si è scelto Jurgen Klopp, l’allenatore giusto, e gente funzionale al progetto. Alcuni giocatori acquistati, al momento della firma non erano campioni, al limite buoni/ottimi calciatori, lo sono diventati giocando in quello stadio, sentendo quel peso addosso, e hanno ridato gloria al club inglese che negli ultimi anni ha vinto quasi tutto quel che c’era da vincere.

Sono le orme che dovrebbe percorrere il Napoli, ovvero, come diceva Benitez: mercato perfetto, ambiente tranquillo e giocatori motivati.

Nelle prossime sessioni di calciomercato si dovrà operare nel modo migliore possibile perché è innegabile che manchino degli uomini, ma non bisognerà spendere a sproposito, basta che ci sia comunicazione tra la società e l’allenatore, il giocatore giusto, pur non costando centinaia di milioni, arriverà e darà il suo contributo alla causa. Su tutti parla l’acquisto di Demme, non uno dal grande nome, non un giovane, ma il tassello giusto che ti serve a completare la rosa. Come Ferlaino prese Romano per perfezionare il Napoli di Maradona, così dovrà fare la società.

Sull’ambiente sono stati fatti passi da gigante rispetto ai giorni dell’ammutinamento, anche se sembra lontano dal più florido passato. Anche qua dev’esserci la mano dei vertici: non sanzioni dirette come le multe, ma comunicazione e ascolto. In caso contrario la frattura potrebbe diventare irreparabile, e un cambio radicale significherebbe dover ricominciare da zero: la base c’è, non va rovinata, ma deve cooperare al raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Le motivazioni ai giocatori vanno importate dalla società, perché giocare nel Napoli non dev’essere come giocare in una qualsiasi squadra, in caso contrario non si diventerà mai una vera e propria big. Oltre il nome dello stadio va fatto altro. Bisogna sfruttare questo assist del comune per creare strutture migliori, realizzare un mito intorno al club, insomma, far capire che questo non è un team come tutti gli altri. Visto che i campioni non possono arrivare, devono essere formati all’ombra del Vesuvio, col duro lavoro i risultati arriveranno.

Per farla in parole povere, “l’ultimo passo” va fatto dalla società, è stato fatto un ottimo lavoro ritornando in Serie A e nell’orbita del calcio europeo, ma adesso non basta più, è ora di andare oltre e creare delle fondamenta per il futuro, per diventare una big. Benitez, qualche anno fa, tracciò la via, ora va rinnovata per evitare che frani.

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