Spiragli tattici Vol.35: Il Napoli è prigioniero di due anime

Fonte foto: SSC Napoli

Dopo la terza sconfitta consecutiva al San Paolo, Gennaro Gattuso non ha contenuto la frustrazione. «Il primo responsabile sono io, quando ci sono partite importanti succede sempre questo» ha detto l’allenatore del Napoli a Sky Sport. È difficile capire se alcune volte Gattuso si affligga così severamente per perfezionismo, o perché la sua è una sorta di strategia mourinhana di comunicazione per proteggere i suoi calciatori. «Le decisioni le prendo io, la colpa è mia».

Come è successo contro il Sassuolo, il Napoli ha perso la partita prima tatticamente, e poi sotto tutti gli altri aspetti. Non ha funzionato – ed è un problema che questa squadra si porta dietro da quasi un anno – l’uscita della palla dalla difesa; anche i meccanismi offensivi hanno latitato. L’inserimento di Politano sottopunta, con Insigne e Lozano ai lati di Mertens, non ha generato grandi pericoli alla difesa del Milan. Il Napoli ha creato in totale 1.88 xG: è un dato però molto gonfiato dal gol di Mertens – frutto di un tiro al limite dell’area piccola – e dall’occasione di Di Lorenzo, su calcio d’angolo.

Il pressing del Milan

Ovviamente, i risultati sono figli degli episodi. Se Di Lorenzo avesse segnato l’occasione più ghiotta della partita – o quantomeno non avesse regalato palla a Theo Hernandez prima del secondo gol – la partita sarebbe andata diversamente. Tuttavia, quando gli errori individuali sono così costanti e marchiani nel corso della stagione, c’è da riflettere anche sul contesto tattico in cui avvengono. Gattuso ha confermato il 4-2-3-1, pur dovendo rinunciare agli strappi e alla verticalità di Osimhen, e questo è stato il suo primo errore.

Fonte: account Twitter @CalcioDatato.

Non potendo uscire fluidamente palla al piede per l’assenza di un playmaker, e senza profondità in attacco, il Napoli si è ritrovato stritolato dalle sue contraddizioni. Il Milan ha adottato il suo solito piano di gara, pressando uomo su uomo nella metà campo avversaria; l’unica eccezione era Manolas, che non veniva pressato fino alla trequarti. Questo perché il Milan voleva indurre il greco a forzare la giocata, riconoscendone i limiti in impostazione. Infatti, Manolas ha chiuso la sua partita con 82 palle giocate, e 67 passaggi riusciti (la maggior parte dei quali per Meret); quasi il doppio rispetto a quelli di Di Lorenzo, e ben quindici in più di quelli di Koulibaly.

Il Milan, pur pressando molto in alto nel campo, lascia avanzare Manolas, il difensore meno tecnico del Napoli. Al contrario, Ibrahimovic è in marcatura costante su Koulibaly.
Costruzione persa

Ad acuire le difficoltà nel giro palla è stata sicuramente la prova sottotono dei centrocampisti, almeno in fase di impostazione. Fabian – il calciatore con più tocchi, 109, nel Napoli – e Bakayoko si sono appiattiti sulla difesa, non riuscendo a creare linee di passaggio, né tantomeno a disordinare il pressing del Milan: così, il peso della manovra è passato attraverso i lanci dei difensori. Manolas e Koulibaly hanno effettuato 2/3 dei passaggi chiave del Napoli; l’altro lo ha tentato Mertens. Questo è un dato significativo: racconta tutti i problemi della fase di costruzione degli azzurri, che fino al gol di Mertens sono arrivati al tiro una sola volta su azione.

Fabian riceve spalle alla porta, e tenta un passaggio orizzontale facilmente intercettato da Bennacer. Nessun calciatore del Napoli crea una linea di passaggio o si propone.

Gli unici sprazzi interessanti sono scaturiti da progressioni individuali: Politano si è comportato bene da trequartista, spostandosi spesso sul centro-destra per sovraccaricare la fascia più offensiva del Milan. I problemi, da quel lato, sono stati prettamente difensivi: Lozano non è riuscito mai a tagliare la linea di passaggio per Theo Hernandez, mentre Di Lorenzo ha sofferto le cavalcate di Rebic alle sue spalle. Infatti, le lacune difensive a destra hanno permesso soprattutto a Hernandez di avere libertà pressoché totale: ha giocato più palloni di tutti (71) per la sua squadra, ed è entrato nelle azioni del primo – in cui ha servito l’assist – e del secondo gol di Ibrahimovic.

L’altro

Il Milan non ha giocato la sua miglior partita. Forse anche perché non gli è servito. Dopo il gol di Ibrahimovic, i rossoneri hanno abbassato il baricentro, lasciando il possesso al Napoli. Difendendo più in basso, il Milan sapeva bene di limitare le azioni offensive del Napoli. Questo perché alla carenza strutturale di centimetri in area, la squadra di Gattuso ha potuto reagire solo portando molti uomini sopra la linea della palla.

Così si sono sviluppati il secondo e il terzo gol del Milan: approfittando dei pezzi sconfinati di campo lasciati incustoditi dal Napoli, che nel secondo tempo ha alzato entrambi i terzini. In effetti, forse non ha vinto la squadra che ha meritato di più; ha vinto semplicemente la squadra con un’identità più precisa. O meglio, che riesce a ottenere il massimo dal proprio stile di gioco. Il Napoli di Gattuso sembra ancora lontano da questo traguardo.

Già nel primo tempo, per aggredire la difesa del Milan il Napoli porta addirittura 6 giocatori sopra la linea della palla. Così il Milan ha avuto vita facile in contropiede.

Il Napoli ha pagato gli episodi, certo. Il primo giallo a Bakayoko è discutibile, e forse Ibrahimovic andava espulso. Ma questo non può cancellare gli evidenti limiti che la squadra di Gattuso si porta dietro da quasi un anno. Perché, se il Napoli ha in rosa centrocampisti di grande qualità, non ha acquisito ancora meccanismi giusti per far uscire il pallone? Era necessario confermare un assetto così offensivo senza la verticalità di Osimhen?

Sono domande complesse, a cui è impossibile dare una risposta unica. Nel post-partita, Gattuso ha accusato alcuni suoi calciatori di «fare troppo i professoroni» e di non riuscire sempre «a far interpretare le partite in un certo modo». È un’accusa grave: da un certo punto di vista, Gattuso ha ammesso che il Napoli ha ancora due anime. Una, che è quella dei calciatori più tecnici ed esperti – Mertens, Insigne – che vuole il pallone sempre tra i piedi, per sbloccare la partita attraverso il gioco di posizione; e l’altra, che corrisponde all’animo nuovo del Napoli, quello verticale e cinetico. Ovviamente, Gattuso dovrà trovare il modo di integrare un modo di pensare il calcio nell’altro, o di farli convivere. Finora non ci è ancora riuscito.

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