La prima volta non si scorda mai: San Paolo!

L’emergenza coronavirus ha fermato il mondo del calcio per oltre tre mesi ma fortunatamente lo sport più bello del pianeta è tornato. Tornato ma con un ma. Non è proprio tornato come prima, non è tornato, ancora, alla normalità. Manca qualcosa: i tifosi. Per il bene dell’intera Nazione italiana e non, i tifosi dovranno restare a casa (per il momento). Un duro colpo per chi è di casa allo stadio, ma soprattutto per i ragazzini che sognano di entrare per la prima volta all’interno dello stadio della propria squadra del cuore.

Quest’oggi voglio raccontare la mia prima volta allo stadio, con la speranza che i bambini di oggi, come lo ero io quella volta, provino le emozioni che solo lo stadio può farti provare, al più presto. 

Era l’8 ottobre 2006, Napoli-Rimini. Un anno tanto bello quanto particolare. I mondiali, calciopoli. L’anno in cui mi avvicinai al calcio. Papà, tifosissimo del Napoli, decise che era arrivato il momento di far avvicinare al mondo del pallone un bambino (io) che a tutto pensava tranne che al calcio. Tanto è vero che mai avrei immaginato di appassionarmi così tanto ad uno sport da volere addirittura farne (si spera) la professione della vita. Alla fine ero solo un bambino di 9 anni e posso essere più che giustificato.

Quando mi disse “sabato andiamo allo stadio”, pensai a tutto e di più. Ma come? Allo stadio? Chissà come sarà, chissà perché papà tiene così tanto a “questo” Napoli. Chiesi addirittura come si chiamasse…perché di pallone proprio non ne volevo sapere (ma come si fa?). Pensieri di un bambino che poi sarebbero diventati in un futuro non tanto lontano una ragione di appartenenza.

Era un sabato pomeriggio molto caldo, sebbene fosse ottobre. Di quei tempi il Napoli era in B e le partite si disputavano di sabato. Mio padre prese una vecchia sciarpa dei tempi suoi, dei tempi di Diego Armando Maradona, e me la diede. La legai al polso e via, in macchina pronti per la destinazione San Paolo (non dimenticando le infinite raccomandazioni di mia madre).

Lungo il tragitto papà mi raccontava le emozioni che regalava questo stadio ed io quasi incredulo lo ascoltavo. Improvvisamente vidi tante macchine bussare il clacson, con bandiere e sciarpe fuori dai finestrini. Chiesi a papà: ma che fanno questi (sorridendo)? E lui mi rispose: “sono i tifosi del Napoli, sventola anche tu la sciarpa fuori al finestrino”. Io così feci. Passavano tante persone in macchine che mi guardavano e gridavano “Forza Napoli”. Io lo ripetevo insieme a loro, urlando. E mi piaceva. Iniziava a piacermi (anche perché amavo fare “o burdell”). 

Arrivammo con largo anticipo perché altrimenti “avremmo trovato confusione” all’ingresso. Prima di entrare dissi a mio padre: “Papà ma io ho solo una sciarpa, guarda tutti con maglie, cappelli…”. Il mio vecchio non mi fece finire nemmeno di parlare: “Scegli la maglia che vuoi”. Io scelsi il nome che mi ispirò di più, e fu anche uno di quelli che poi in seguito mi fece tanto affezionare: scelsi la maglia di Cristian Bucchi. Indimenticabile, la conservo ancora. 

Dopo dritti nel nostro settore, la Tribuna Posillipo. Papà scelse un settore tranquillo per la prima volta di un bambino, non sapendo che il settore poi amato dal figlio sarebbe diventato quello ai lati (proprio come lui, ai tempi suoi). 

Salii le scale, vidi un prato verde e un colpo d’occhio stupendo. Dissi subito: “ua’ bellissimo”. Ci sedemmo tranquilli, aspettammo l’inizio della partita. Nel frattempo mio padre mi faceva notare ogni minimo particolare: “quelli sono i tifosi che “cantano” (per farmi capire), lì ci sono i giornalisti”. La mia euforia saliva piano piano. 

Poi il riscaldamento, gli applausi dei tifosi, i primi cori, “papà quello come si chiama? E quell’altro? Chi è Bucchi??”, ma la cosa che mi colpì maggiormente furono i fischi all’ingresso in campo dei giocatori avversari (il Rimini). E infatti chiesi “ma perché fischiano così forte? Non sento niente papà”. Mi rispose con fierezza: “perché nunn’hanna capi niente, lo faranno anche durante la partita ora vedrai”. E l’euforia saliva sempre di più.

Iniziò finalmente la partita, al via Napoli-Rimini. In realtà quella non fu facile come partita per il Napoli. Tanto è vero che il Rimini era davvero padrone del campo. Le cose si complicarono con l’espulsione di Amodio. Ricordo che chiesi: “ma che sta facendo? Esce dal campo papà?”. “Si, l’arbitro lo ha espulso dal campo perché ha fatto due brutti falli, ora giochiamo con uno in meno”. Come se fosse ieri, dissi fra me e me: “ma che caspita, proprio ora che so venuto io? Ma vuoi vede che mo perdimmo pure?”. Durante la partita guardavo l’intero stadio, ma fu la mia sinistra a catturare la mia attenzione: la Curva B. Un incessante tifo, tante persone ma un’unica voce: “Forza Napoli”. Credo sia stato amore a prima vista, volevo andare lì a cantare con tutte quelle persone…e infatti chiesi di andare lì la volta successiva al San Paolo. Papà però fermò tutto: “Ci vai quando ti fai più grande” (e così fu). L’euforia saliva ancora ma il risultato era fisso sullo zero a zero. 

“Papà ma quando segnano?” E lampo fu. Era quasi terminata la partita (36’ st) un ragazzo in campo decise di regalare una magia ad un bambino alla prima volta allo stadio: gol da lontano di Roberto De Zerbi. 

Saltai sulla ringhiera che avevo avanti sventolando con fierezza la mia sciarpa e urlando a non finire. Poi sentii lo speaker ripetere il nome di De Zerbi e lo stadio dopo di lui. Papà vide che stavo cercando di capire qualcosa e mi disse “ripeti anche tu forte forte”. Così feci: “Roberto …. DE ZERBI, DE ZERBI, DE ZERBI…. DE- ZER- BI”. Fu in quel momento che capii perché papà tenesse così tanto a “questo” Napoli e mi innamorai di tutto questo all’istante, un colpo di fulmine: del calcio, degli azzurri ma soprattutto del San Paolo!

La partita terminò 1-0 per il Napoli ed io tornai a casa contento, contentissimo. Nei giorni dopo chiedevo ripetutamente di riandare al San Paolo. Da lì iniziò la mia passione. Emozioni uniche ed indimenticabili.

Mi auguro che al più presto che un altro bambino, come lo ero io, possa andare con il proprio padre allo stadio provando ciò che provai io. Torneremo allo stadio, torneremo a cantare e incitare i nostri idoli. Torneremo, torneranno.

Raffaele Ciccarelli

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