Cercarsi, trovarsi, «sentirsi»: lasciando che il tempo scorra via lentamente, fermandosi in quel fotogramma che sa persino incantare oppure semplicemente rapire. La Grande Bellezza, una diapositiva, è racchiusa in un gesto che esalta la tecnica e pure la grammatica del football, è la somma dei talenti che diviene spettacolo, è l’estro amalgamato in tre scugnizzi capaci di scappare oltre la banalità, di sfi lare tra le linee e nelle sagome, di inventarsi ancora – e fi nché sarà possibile – quest’algoritmo che ha riempito Napoli da Benitez a Sarri e sino ad Ancelotti e che diviene l’«arma» segreta per uscire dalla «crisetta» d’una nottata che va aff rontata con guizzi d’imprevedibilità per liberarsi dell’Atalanta, della sua straripante e accecante e abbagliante autorevolezza di cui l’ha dotata Gasperini, della sua «esagerata» e travolgente verticalità a campo aperto.
START UP. Le strade del gol sono terribilmente infinite però la scorciatoia – da Insigne a Callejon e da Callejon a Mertens, il solito schema verrebbe da dire – è una scorciatoia che viene celebrata attraverso le statistiche e la memoria d’un rituale «sacro», il simbolo di un’armonia tra cervelli e ispirazioni che si connettono e trasformano uno stadio in una Silicon Valley.
AIUTO. Napoli-Atalanta è l’incrocio pericolosissimo in cui si concentrano lo stato d’animo d’una città esigente, soffocata (ancora) dal suo umanissimo desiderio d’essere regina e stordita dal pericolo di doversene stare ancora lì, alle spalle delle star, eppure tra le stelle: e per combattere l’ansia, per sistemarsi comodamente sotto la propria coperta di Linus (da Insigne a Callejon e da Callejon a Mertens) è un’Idea dalla quale val la pena di lasciarsi sfiorare, per inseguire il benessere e non rischiare di scivolare fuori dalla zona Champions, di non smarrirsi a distanza (già) siderale da chi comanda.
QUEI TRE. I tre tenori, ancora loro, per riempire la notte del San Paolo, per ridare un senso a un Progetto che non può vacillare proprio ora, per recitare insieme, e sarebbe la settancinquantacinquesima volta da titolari, per spazzare via quel senso di disorientamento, per segnare ancora – e ne hanno fatti duecentosettantasei, centosessanta dei quali nella magìa della fusione – per ribellarsi a questo clima intriso di malinconia che avvicina all’Atalanta, la peggior interlocutrice possibile.
IN RITIRO. Le vigilie sono (quasi) tutte uguali ma stavolta s’annusa un brivido, quel refolo di venticello fastidioso che ha lasciato il pareggio di Ferrara, la chanches sprecata per sentirsi sempre più vicini alla Juventus e all’Inter, ma anche a quest’Atalanta che rappresenta il made in Italy in maniera fosforescente, dispensando gol a chiunque, sistemandosi (ancora, come nella passata stagione) nella «borghesia» d’un calcio che conquista. E il ritiro è stata una scelta, un desiderio da assecondare per starsene un po’ insieme, per consentire ad Ancelotti di analizzare le reazioni di ognuno, per intuire cosa avvertano quegli uomini mentre s’avviano al San Paolo, in una serata che sa d’esame. E i dubbi, ovviamente, galleggiano nella Pineta di Castel Volturno: davanti a Meret, Maksimovic in difesa al fi anco di Koulibaly; Di Lorenzo di nuovo a destra e poi Luperto o Mario Rui sulla corsia di sinistra; in mezzo, Allan e Fabian Ruiz che si combinano, e poi, per attaccare la profondità, Lozano più di Milik: e tutti insieme, appassionatamente, con Callejon (79 gol), Insigne (81) e Mertens (116). Il Napoli ricomincia da (quei) tre.
Fonte: Corriere dello Sport