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Insigne da 10

Napoletano, capitano, simbolo: l’ultimo anno di Lorenzo Insigne si può sintetizzare dividendolo in diversi periodi.

Con Ancelotti, adattatosi subito al 4-4-2, ha iniziato la stagione come mai prima perché se le prestazioni parlano, i numeri possono essere emblematici per carpire i suoi cambiamenti soprattutto mentali. Per i primi tre mesi (fino a novembre più o meno) ha collezionato ben 10 gol e 3 assist fra campionato e Champions: mai era partito così bene. Ha subìto, probabilmente colpito anche da qualche acciacco fisico, un lento tracollo emotivo (pur prendendo ufficialmente la fascia di capitano dopo l’addio a febbraio su Marek Hamsik) e tecnico che lo ha visto segnare solo 2 volte (tre contando il gol contro lo Zurigo in EL), sbagliando tra l’altro un rigore importante contro la Juventus in casa. Certo, non è da questi particolari che si giudica un giocatore, ma il suo stato psicologico sì.

Le pressioni talvolta possono diventare incubi e dare pulsioni tutt’altro che positive. Un campione di pressioni ci vive, sa che ha un compito importante da portare avanti sia nei confronti del pubblico che della squadra, perché una fascia sul braccio ha un valore rimarchevole, tuttalpiù se sei nato in questa terra. Fra Lorenzo e Napoli il rapporto è stato sempre conflittuale, odi et amo, passione e dolore. Inutile nascondere che durante l’anno lo stesso scugnizzo di Frattamaggiore ha pensato seriamente, con l’ausilio del suo procuratore Raiola, di cambiare aria per, chissà, essere apprezzato altrove, sottolineando quanto vale. Oggi le probabilità di un suo addio sono diminuite, razionalmente la scelta migliore sarebbe andare via, ma il cuore, quello che si vede – anzi – usa poco nel calcio odierno, lo spingono sempre più a restare e lo ribadisce in ogni intervista, con quel fare sicuro, da uomo più maturo e consapevole.

Ieri un gol da cineteca con un’altra maglia azzurra, quella dell’Italia, e con un altro fardello da portare, la numero 10, da sempre indossata dai fantasisti nonché uomini-chiave di una squadra. E lui ieri, forse come non faceva da tempo, è stato il faro dei suoi compagni, il giocatore che rende orgogliosi il popolo dello stivale che tanto ha sofferto per i risultati negativi vissuti in questi anni. Lorenzo torna ad essere Magnifico, con la testa liberi da ostacoli, ma dovrà farlo anche con il suo Napoli e non per tre mesi all’anno, nonostante sia nel complesso un calciatore di cui un allenatore difficilmente può fare a meno per le nozioni tattiche apprese da Zeman fino a Carlo attualmente, nonché la bravura tecnica e di assist-man, grazie a quelle palle che solo lui riesce a dare nel reparto offensivo. Non è questione di modulo, perché 10 gol in 3 mesi (contro squadre fortissime) non si fanno per puro caso. È questione di testa, di stimoli e di crescita.

Ecco, a Lorenzo manca la continuità per diventare grande. E se la acquisirà sarà soltanto amato, con o senza tiro a giro.

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