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I giovani che partono in cerca di fortuna

Un esercito di giovani in marcia.
Si tratta di 285 mila giovani italiani che nell’arco dello scorso anno hanno lasciato il Paese per cercare un futuro diverso all’estero.
Sono i numeri pubblicati dal Dossier statistico sull’immigrazione 2017 e curati dal Centro studi Idos insieme alla rivista Confronti.

La fuga dei giovani qualificati

I dati purtroppo dicono che ad andarsene sono per lo più i giovani qualificati, i laureati e i dottorandi, i famosi migranti economici che ad esempio tutta l’Europa tanto teme quando arrivano dall’Africa e approdano sulle coste italiane.
Ma quelli che arrivano sono sempre di meno rispetto a quelli che se ne vanno; gli arrivi nel 2016 sulle coste dell’Italia raggiungevano le 181 mila unità mentre ad andarsene appunto sono stati 285 mila.
Le statistiche dell’Ocse dicono che il nostro Paese è l’ottavo al mondo nella classifica dei Paesi di nuova emigrazione. Tra il 2005 e il 2014 hanno lasciato il Paese una media di 87 mila giovani, oggi i numeri sono triplicati. Basti pensare che solo nel dopoguerra si è registrato un numero poco più alto (300 mila italiani emigrati).
Ma il dato più preoccupante è che negli anni a crescere in maniera esponenziale è stato il numero di giovani con una formazione di alto livello.
Nel 2002 la metà dei giovani italiani ad andare all’estero aveva la licenza media, oggi sono il 30% ma sono aumentati diplomati e laureati. Inoltre i nostri laureati sono più qualificati perché hanno la laurea triennale il 28% degli italiani contro una media Ocse del 36% ma ad avere la magistrale in Italia sono il 20% dei giovani contro la media europea del 17%.
Si stima che la perdita in termini economici per l’Italia sia di circa 9 miliardi di euro perché a tanto arriverebbe la somma spesa per formare questi giovani.
Secondo le proiezioni, il nostro Paese avrebbe perso 5,3 miliardi di dollari per i diplomati in fuga e 3,5 miliardi per i laureati.

Dove vanno i nostri laureati

Le principali mete dei giovani laureati italiani sono la Germania e la Gran Bretagna, quindi paesi come l’Austria, il Belgio, la Francia, il Lussemburgo, i Paesi Bassi e la Svizzera. Tre quarti di loro quindi rimane in Europa, un terzo sceglie altre destinazioni.
Se si parla di paesi al di fuori dei confini europei, le destinazioni più gettonate sono l’Argentina, il Brasile, il Canada, gli Stati Uniti e il Venezuela.
Ambite anche mete come l’Australia e la Nuova Zelanda.

La fuga di cervelli e l’allargamento dell’UE

L’allargamento ad est dell’Unione Europea tra il 2004 e il 2007 ha avuto un effetto negativo sulle collaborazioni internazionali.
Secondo lo studio pubblicato su Science Advances di Fabio Pammolli e dai colleghi del Politecnico di Milano in collaborazione con l’Università della California, dopo l’allargamento dell’Europa ad est del 2004 e del 2007 che ha visto l’adesione di 12 nuovi paesi, si è registrata una consistente fuga di cervelli dai nuovi paesi membri a quelli vecchi.
Secondo lo studio ci sarebbe stata una ridistribuzione geografica dei ricercatori che ha però portato discapito a tante collaborazioni internazionali.
Nel triennio 2009-2012 la Romania ha fatto registrare 16mila migrazioni, la Polonia 14mila e l’Ungheria 7500.
Un esodo che mette in crisi le politiche d’integrazione della European Research Area della Commissione Ue, sorta proprio per coordinare le attività di ricerca, per incentivare la circolazione delle conoscenze aumentando così la competitività.

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