EDITORIALE – Il precipizio del provincialismo…

Tante, forse troppe, chiacchiere sono state fatte riguardo il Napoli e gli impegni che dovrà affrontare. Nelle ore antecedenti la partita con il Palermo l’argomento di discussione era solo e soltanto il calendario, troppo fitto di impegni a cavallo di campionato, Champions e Coppa Italia. Sui social, addirittura, c’era chi già immaginava come accogliere il “traditore” al San Paolo in quel di aprile. Da aggiungere alla lista, poi, c’è anche la compagine dei complottisti. Coloro che scovano verità nascoste e dichiarano a mezzo social e non solo che il campionato sia truccato. Chi si scansa di qui e chi abbraccia chi dall’altra. Nessuno però, se non in pochi, si sono chiesti se questi siano gli argomenti di chi è abituato a vincere qualcosa nella sua storia. Chi siede al comando del calcio, pensa codeste facezie?

La risposta è ovvia, lampante e certifica come un disegno fatto da un bambino dell’asilo il provincialismo che assale una buona parte del pubblico azzurro. Non si guarda al campo, alla propria squadra ma si perde tempo ed energie a trovare difetti in chi invece, dall’altra parte, preferisce i fatti alle chiacchiere. Anche la squadra, di conseguenza, è trasportata dal vento autolesionista della piazza e, in una partita fondamentale, approccia con sufficienza il proprio avversario. Colleziona numeri e statitistiche del dominio perfetto che però, di perfetto, non ha proprio nulla nei fatti. Pareggia una partita in cui senza l’errore del portiere con ogni probabilità avremmo parlato addirittura di una sconfitta. Di perfetto c’è stato solo il “suicidio”. Stracciare come carta vecchia due punti è di quanto più delittuoso potesse fare il Napoli. Peggiore ancor di più è l’atteggiamento buonista di molti “tifosi” che, dopo uno spettacolo raccapricciante, trovano le maniere per giustificare una disfatta dalle proporzioni oceaniche. Ancora una volta l’attenzione si sposta su tutto ciò che non conta: la sfortuna, il palo e l’atteggiamento rinunciatario del Palermo. Nessuno, se non pochi, puntano il dito lì dove invece dovrebbe essere puntato. Una grande squadra non vince, in casa, conto l’ultima della classe?

Anche qui la risposta è ovvia è palese come la papera di Posavec!

Anzichè ricercare in altri le responsabilità del proprio fallimento, guardiamo prima di tutto in casa nostra e ricominciamo ammettendo che il Napoli, pur bello che sia, è una provinciale di lusso. Una grande provinciale e nulla più. Per migliorare occorre evidenziare i limiti per poterli correggere, se possibile. Ovattare il marcio nascondendolo dai propri occhi e soprattutto dal proprio cuore ha una sola e nefasta conseguenza: vivere di una bugia e svegliarsi, prima o poi, in una montagna di sterco. Preoccupiamoci di capire, approfondire come sono stati investiti gli oltre 120 milioni spesi durante l’ultima finestra di mercato. Domandiamoci come mai gli effetti di un mercato galattico non si riflettono sul campo ma, anzi, ci hanno consegnato una squadra avente 5 punti in meno rispetto alla passata stagione. Riflettiamo sul fatto che per mesi abbiamo dovuto giocare senza centravanti. Questo a livello sportivo. Sul versante societario domandiamoci cosa sta facendo realmente la società per esportare il brand Napoli all’estero, che passi sta compiendo per accrescere le casse societarie esplorando quei mercati già battuti dalle grandi, di nome e di fatto. Non parliamo poi della questione stadio, il quale sembra essere il progetto abortito di un pensiero provinciale scadente. Ciliegina finale, una politica comunicativa per lo meno discutibile vista l’era in cui viviamo, totalmente pubblica e interattiva. Abbiamo forse così tanto da guardare in casa nostra che ci preoccupiamo di guardare in casa di chi, invece, è avanti rispetto a noi sul campo e fuori. Abbiamo l’ardire di affermare che vada tutto bene, che sia tutto normale come le file chilometriche per un biglietto di Coppa. Senza parlare poi di tutta la confusione e polverone mediatico scatenato attorno ad esso.

Il vero precipizio di un uomo è credere di essere vincente quando, invece, è un perdente. L’abisso è raffigurato dal provincialismo arrogante che crede di essere primo della classe. Guarire è sempre possibile, a patto che si capisca la malattia e si abbia il coraggio di curarsi.

Napoli e la piazza sono pronti a guarire?

Noi speriamo di sì ma, con sincerità, più di qualche dubbio rimane. Ad ogni modo, come direbbe Pirandello, “così è se vi pare”.

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