Napoli, restiamo uniti!

La sentenza inflitta a Gonzalo Higuaìn porterà a lungo gli strascichi di un calcio che si vive più fuori che dentro il campo. Nulla da obbiettare in merito alla sentenza, ha sbagliato e la punizione è – secondo il regolamento – giusta. Il problema non è sicuramente questo, quanto piuttosto un metro di giudizio differente che ha pesato sull’ultima parte di stagione.

È un fallimento per la serie A sentir parlare più di arbitri, ingiustizie e tutto ciò che circonda il mondo esterno a questo sport piuttosto che contemplare con piacere una gara balistica. Un fallimento per le istituzioni che dopo le bufere degli anni passati hanno nuovamente acceso negli animi dei tifosi dubbi e rassegnazione su come viene applicato l’ordinamento sportivo.

Nullum crimen, nulla paena sine lege” è la pietra miliare del nostro codice, perché chi sbaglia paga e la legge dovrebbe essere applicata in ugual modo a casi egualmente gravi. Il Pipita ha dimostrato più di una cosa con il gesto scomposto di Udine. La sua rabbia, la sua grinta, la sua follia fanno parte di un sistema capito dallo stesso numero 9, il quale subendo un fallo, reagisce facendo di peggio secondo Irrati, scatenando in lui una reazione che ogni tifoso, probabilmente, avrebbe adottato.

Se non avesse avuto amore per questa maglia sicuramente sarebbe uscito con la testa bassa “passando la palla” ai suoi compagni, insomma lavandosene le mani come chi ha nel cuore l’indifferenza delle sorti finali. Invece no. Ha lottato, pianto e compreso quanto questi colori siano pesanti e significativi. Il fratello, nonché suo agente, ha detto chiaramente una verità: vincere con il Napoli è quasi impossibile. Non solo per il blasone che solo negli ultimi anni si sta riacquisendo, ma finanche per le ombre che da sempre hanno caratterizzato il campionato nostrano.

La distrazione è, etimologicamente, il significato opposto della concentrazione, ergo della chiave di vittorie conquistate in un iter da applausi per gli uomini di Sarri. Ci sono altre sette “finali” da giocare, mancherà – a meno di clamorose riduzioni che si decideranno fra mercoledì o giovedì prossimo – per quattro giornate il leader goleador degli azzurri, al suo posto inaspettatamente sarà Gabbiadini a doversi prendere sulle spalle le sorti del Napoli e trascinarlo alla vittoria a suon di gol.

Servirà cattiveria, quella sana che spinge a non mettere nel vocabolario la parola arrendersi, per dar ragione alla società sulla volontà personale di trattenere un giocatore apparentemente scontento per le troppe panchine. La chiave di tutto sarà restare uniti. Come prima, più di prima.

I tifosi dovranno coccolare i loro beniamini, come una mamma fa con il proprio figlio, nascondendo almeno per quei 90 minuti sugli spalti la delusione per un sogno quasi svanito. Serviranno loro in primis per risollevare gli animi degli azzurri, colpiti duramente dalle decisioni arbitrali. In campo undici leoni, sugli spalti migliaia di mani che batteranno all’unisono per accompagnare la squadra ad un risultato positivo.

Ci sarà finanche una protesta, ovviamente pacifica, a favore del Pipita: c’è chi indosserà la sua maglia, chi la maschera con il suo volto o chi intonerà cori a lui dedicati. Un simbolo importante per far capire il rapporto ormai viscerale tra il bomber argentino e la “sua gente”, come Maradona anni prima la definì.

La missione principale, dunque, è quella di perdere la testa ma fare quadrato affinché finisca ogni cosa nel verso giusto.

Non si può sempre perdere, per cui giochiamoci. Certe luci, no, non puoi spegnerle“.

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