Home Copertina La costruzione dal basso è un problema per i reazionari

La costruzione dal basso è un problema per i reazionari


Inizierei con un concetto banale (eppure, quanto mai fuori di moda negli ultimi periodi in Italia): non esiste un modo migliore di un altro per giocare a calcio. Qualsiasi allenatore, soprattutto se tra quelli che arrivano ad altissimi livelli, si adatta al materiale umano, tecnico e tattico che ha a disposizione, quindi cucendo la propria idea addosso a quel materiale e cercando di farlo risultare più efficace possibile. È lapalissiano, ma è bene ripeterlo: non c’è allenatore (o staff tecnico) che si sognerebbe di mettere in difficoltà un calciatore per una convinzione astratta e personale del modo di stare in campo. Non lo ha fatto Sacchi – forse il più celebre «integralista» in Italia –, né Sarri o Allegri, e nemmeno Guardiola (ci arriviamo).

Negli ultimi anni, invece, soprattutto in Italia, è presa a esistere una divisione ideologica, direi quasi dicotomica della realtà sportiva. Credo che questa visione abbia toccato il proprio apice culturale (il che è tutto un dire) nello scontro a Sky Sport tra Adani e Allegri dopo Inter-Juventus dell’aprile del 2018. Domanda: «Può questa Juve giocare almeno un po’ meglio?», risposta: «il calcio è una roba semplice, non fate troppo i teorici». Ora, al netto di simpatie e antipatie personali, e anche al netto del fatto che né Allegri né Adani avessero intenzione di discutere da un punto di vista culturale quanto più affermare che l’altro fosse nel torto, credo che ci siano due visioni possibili di questa diatriba.

Guardiola ci ha fatto male (oppure: signora mia…quando i treni arrivavano in orario)

La prima visione appartiene ai maggiori quotidiani sportivi italiani, che accetta formalmente la presunta e netta divisione tra «giochisti» e «risultatisti»; ovvero tra allenatori che punterebbero tutto sul gioco (Sarri, Guardiola, De Zerbi, ecc.) e altri «pragmatici» e capaci di giocare «all’italiana» (Allegri, … ). In risposta all’eliminazione di Lazio, Atalanta e Juve dalla Champions League, Il Corriere dello Sport ha scritto in prima pagina: «Cambiamo subito», «Guardiola ci ha fatto soltanto del male», «Adesso più spazio ai giovani» e altre frasette nostalgiche e reazionarie che quasi: signoria mia quando i treni arrivavano in orario (e questa era tutta campagna) il mondo era un posto più giusto.

Si potrebbe riassumere con: «Si stava meglio quando si stava peggio».

Non credo di dovermi soffermare su quanta scarsezza di capacità analitica occorra per scrivere una prima pagina del genere (tra l’altro è divertente come in Italia si dovrebbe puntare sui giovani in ogni ambito tranne quelli decisionali: giusto, Zazzaroni?), quindi arriverei ai concetti in sé e capovolgerei la domanda. Invece di chiederci: «davvero Guardiola ci ha fatto del male?», «ma vale la pena costruire dal basso?», oppure dirci che «il portiere non può giocare con i piedi», oserei domandare: quanta profondità di pensiero occorre per formulare queste domande e darsi delle risposte?

Innovatori e reazionari

Mi spiego meglio: martedì, durante la telecronaca di Real Madrid-Atalanta, Fabio Caressa ha detto di star segnando «ogni gol che le squadre prendono su costruzione dal basso», con un’annotazione evidentemente dispregiativa, atta a rinforzare l’idea che la costruzione dal basso non abbia senso. Questo è ovviamente sbagliato, e lo dimostrerò in due passi. Il primo: se la costruzione dal basso è davvero una moda passeggera, perché le migliori squadre europee non solo non sono allenate dai soliti Allegri e Mourinho, ma hanno persino assunto tutte allenatori cosiddetti «giochisti» (Guardiola, Klopp, Koeman, Zidane, Arteta)? Sarebbe un controsenso fortissimo, visto che le società di primo livello sono equivalenti a multinazionali che per un «capriccio» potrebbero perdere ogni anno centinaia di milioni di euro.


Il secondo passo è la risposta che gli allenatori danno ai media di solito. E cioè non solo la costruzione dal basso non è una moda (secondo me è anche piuttosto offensivo verso la professionalità degli sportivi), ma – ça va sans dire – è una strategia studiata a fondo che alla lunga garantisce risultati. Ovvero: le squadre e gli allenatori moderni rischiano di subire qualche gol mentre si costruisce da dietro (Ospina vs Lazio, Bentancur vs Porto, Acerbi vs Bayern, e così via), perché così hanno statisticamente più possibilità di segnare, quindi di essere efficaci e quindi di vincere. Risultato: non esiste il «giochismo» puro, e così non esiste il «risultatismo»: questa è la seconda visione possibile del litigio tra Adani e Allegri, che rimane innanzitutto una discussione tra due persone che vogliono difendere i propri «interessi».

Ovviamente se poi il gol di sopra di Caputo contro lo Spezia viene definito, come ha fatto la Serie A, un gol in contropiede, tutto questo castello logico crolla e dovremmo dire che ci riscaldiamo ancora ricavando il fuoco dalle pietre, anziché dalla corrente semplicemente perché alcuni di noi non la capiscono. L’insieme di questo truce (e piuttosto volgare) dibattito è una distinzione culturale: quella tra innovatori e reazionari. Solo che, nella maggior parte dei casi, i reazionari hanno vergogna di dire di essere reazionari. È più facile dire: Guardiola ci ha rovinati. Come le auto, e il telefono, e internet; piuttosto che: io ho rovinato me stesso.

 

 

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