Una stagione di ordinaria follia

Fonte foto: account Instagram SSC Napoli.

La sconfitta al Camp Nou – e la conseguente eliminazione dalla Champions – ha messo il punto alla stagione 2019/20 del Napoli. Probabilmente la più folle, caotica, intensa e autolesionista degli ultimi decenni calcistici. Partito con la convinzione di poter lottare per lo scudetto con Ancelotti al timone, il club di De Laurentiis ha chiuso la Serie A al settimo posto, con Gattuso in panchina.

Oltre ai risultati inequivocabili del campo, questa stagione – nel suo complesso – merita forse una riflessione più acuta, profonda. Sviscerare la miriade di avvenimenti che si è susseguita nel vortice infernale temporalmente esistito tra novembre e gennaio, forse, ci può dire qualcosa (anche) sul Napoli del futuro.

Dimaro, il treno per Yuma e altre storie
Il Napoli 19/20 è iniziato ufficialmente a Dimaro, il 6 luglio. Due giorni dopo, Ancelotti presenta in conferenza stampa la nuova stagione, che – dice – porterà il Napoli a essere «una squadra migliore, con più continuità». Il riferimento è ovviamente alla vittoria dello scudetto, il vero obiettivo che squadra e allenatore si sono prefissati: «il secondo posto non basta più, vogliamo vincere».

Sul mercato, il Napoli è scatenato. Ha preso Manolas dalla Roma, ed è in trattativa per James, Lozano e Icardi. L’ambiente appare sereno: i tifosi si fidano dell’allenatore, che assicura esperienza e livello internazionale, e per la prima volta anche della società. Da questo punto di vista, la prima crepa tra i vertici del club e Ancelotti viene fuori proprio da De Laurentiis. Intervistato da Espn su un possibile arrivo di James, il presidente del Napoli ammette: «io, Giuntoli e Ancelotti abbiamo tre idee diverse».

È solo il preludio. Ancelotti vorrebbe un rifinitore e un attaccante bravo ad attaccare gli spazi, e gli identikit di James e Lozano paiono fatti su misura. Il Napoli stesso, ormai convinto di prendere James, diffonde un tweet con la locandina di “un treno per Yuma”, sensibile riferimento alla Colombia. Come sappiamo tutti, la trattativa si arenerà di lì a poco, lasciando di fatto incompiuto un progetto tecnico (Ancelotti stava provando il 4-2-3-1).

E proprio la progettualità introduce l’unico argomento divisivo dell’estate: la situazione di Lorenzo Insigne. Nonostante club e gestione tecnica spendano più volte parole al miele verso il gruppo dei “senatori”, il capitano viene richiamato all’ordine. Per due volte. Da Ancelotti prima, che gli fa ben capire il messaggio: «viene da una stagione altalenante. Mi aspetto da lui comportamenti e atteggiamenti da capitano». Da ADL, poi.

Discontinuità
L’inizio di stagione del Napoli è altalenante. Alla fine del mercato, Ancelotti sembra sereno e in assoluta sintonia con la società, a cui dà 10 come voto al mercato, ribadendo l’obiettivo scudetto. Poche settimane dopo, la vittoria sul Liverpool è probabilmente il punto più alto della sua gestione. È vera apoteosi. Tuttavia, dopo l’impresa contro i Reds il Napoli manca di continuità e perde in casa contro il Cagliari e pareggia senza reti a Genk e Torino.

Proprio nella partita in Belgio contro il Genk, Insigne viene escluso dai convocati per scelta tecnica. «L’ho visto poco brillante in allenamento e ho preferito tenerlo a riposo per la prossima partita» è la versione di Ancelotti. Secondo Il Mattino, la tribuna è una punizione per lo scarso rendimento del capitano. Nel frattempo, anche De Laurentiis mina alla stabilità del gruppo, rilasciando dichiarazioni altamente discutibili contro Mertens e Callejon, e mettendo sul mercato Fabian e Koulibaly.

L’ambiente ritrova serenità solo grazie alla rocambolesca vittoria di Salisburgo, durante la quale – dopo il goal decisivo – Insigne abbraccia Ancelotti insieme a tutto il gruppo. La pace pare fatta, la stagione continua. Invece, è solo l’ultima calma prima della burrasca più improvvisa: i problemi del Napoli sono molto più profondi.

5 novembre
Tra la metà di ottobre e l’inizio di novembre il Napoli è in una situazione piuttosto ambigua. Ha ipotecato il passaggio nel girone di Champions, ma in campionato continua a faticare. Dopo il pareggio contro la SPAL, arrivano due importanti scontri diretti contro Atalanta e Roma. La squadra di Ancelotti li fallisce entrambi, anche se con ragioni diverse: contro la Dea, l’arbitro ci mette del suo (con il mancato rigore di Llorente, ndr), mentre contro la Roma la squadra effettua una prestazione assolutamente anonima.

Per ovviare alle evidenti difficoltà della squadra – che non riesce a interpretare le idee forse troppo ambiziose del proprio allenatore –, De Laurentiis decide di mandare tutti in ritiro per una settimana: dal lunedì (post Roma-Napoli) alla domenica. Questo è stato l’evento più disastroso della stagione del Napoli: da qui in poi gli animi si incupiscono, la situazione diventa insostenibile.

Ancelotti, nella conferenza stampa pre-Salisburgo, si schiera apertamente contro la società, dicendo che «se mi chiedi un parere personale, non sono d’accordo». Secondo alcune ricostruzioni, questo avrebbe potuto in qualche modo legittimare il comportamento della squadra. Che, dopo il pareggio interno contro gli austriaci, diserta il ritiro. Ancelotti non si presenta nella conferenza stampa post-partita, violando il regolamento della UEFA; probabilmente per non avvelenare ancor di più gli animi, secondo quanto scrisse La Gazzetta dello Sport. A differenza della squadra, però, Carletto e il suo staff vanno in ritiro a Castel Volturno. Probabilmente qui Ancelotti ha perso definitivamente la guida del gruppo.

Nei giorni seguenti, si parla molto degli scontri negli spogliatoi: Allan si sarebbe quasi scontrato fisicamente con Edo De Laurentiis, mentre gli stessi giocatori del Napoli sono divisi tra i ribelli (gran parte del gruppo storico) e alcuni dei nuovi arrivati. A questo punto, per salvaguardare i propri investimenti, De Laurentiis decide di esonerare Carlo Ancelotti, che nel frattempo aveva convocato un ulteriore ritiro – contraddicendosi – che non era servito a vincere contro l’Udinese. Il giorno del suo esonero, Ancelotti porta il Napoli agli ottavi di finale di Champions, battendo il Genk 4-0.

Ringhio
Ancelotti ha pagato l’insistenza verso un sistema di gioco che ha più volte messo a disagio i propri calciatori. Il progetto del tecnico di Reggiolo era forse troppo per la qualità medio-alta dei calciatori del Napoli, che non hanno saputo adattarsi a giocare in contesti e sistemi diversi a seconda della partita. Al suo posto viene nominato Gattuso, l’uomo della “restaurazione sarrista”.

Il nuovo allenatore ha cercato di differenziarsi, sin dalla sua presentazione, dalla gestione precedente. «Non mi piace giocare con due linee da quattro, giocheremo 4-3-3. Voglio una squadra pensante» sono le prime parole dell’ex Milan. A cui serve un po’ di tempo per capire cosa fare di questa squadra e, soprattutto, come gestirla. Nelle prime cinque partite, Gattuso colleziona quattro sconfitte. La squadra è infatti ancora destabilizzata dalla decisione societaria di procedere penalmente contro i calciatori, le famose “multe”.

Il Napoli vede la zona retrocessione avvicinarsi sempre più rapidamente, e c’è paura di rimanerne invischiati. È il paradosso più totale. Dopo la sconfitta contro la Fiorentina, Gattuso ha un confronto di un’ora con la squadra: è diventato necessario capire la psicologia di una squadra diventata molle, inconsistente, assente. La decisione viene presa stavolta anche dal gruppo: si va in ritiro. Per la terza volta.

Nel frattempo, a gennaio, la società interviene di nuovo sul mercato e accontenta il nuovo allenatore: prende Lobotka e Demme, oltre che Politano. In questa situazione, per fortuna di tutti, Gattuso dimostra la propria maturità, abbandonando i concetti che erano stati propri del Napoli in passato per la fase difensiva – il cosiddetto “pressing ultra-offensivo” – per una difesa più bassa e meno rischiosa. Così gli azzurri si rimettono in moto: battono Lazio e Inter in Coppa Italia, e la Juventus in campionato.

Agli ottavi di Champions, gli azzurri riescono a fermare persino il Barcellona al San Paolo, sul risultato di 1-1, sfiorando la vittoria. Dopo il lockdown, il Napoli riesce anche a vincere il suo primo trofeo dopo sei anni: la Coppa Italia, ai danni della Juve di Sarri.

Conclusioni
La stagione del Napoli non si farà più positiva di così. La sicurezza dell’accesso ai gironi di Europa League – garantita dal successo in coppa nazionale – ha peggiorato le prestazioni della squadra, che perde a Bergamo e Milano le gare più impegnative del campionato.

La delusione è cocente. Nonostante la conquista di un trofeo, infatti, questa stagione – una delle peggiori dell’era De Laurentiis – sancirà un ridimensionamento di ambizioni e possibilità. O meglio, lo ha già sancito. Ma il ridimensionamento è solo il figlio di una cattiva gestione tecnica e societaria. De Laurentiis non ha creduto in Ancelotti e nel suo progetto («dovevo cambiare prima», ha detto di recente al Corriere dello Sport), che aveva forse centrato il punto, tra i suoi mille evidenti errori: un ciclo è terminato.

E ora, il Napoli ne paga le spese: venderà a prezzo di saldo quelli che solo qualche anno fa considerava i propri top players. Allan, Koulibaly e Milik sono probabilmente tutti sul mercato e – in caso di offerte – partiranno. Insomma, la sensazione è che la chiusura di un percorso fantastico ed elettrizzante, coronato da uno scudetto sfiorato e una Coppa Italia, sarebbe potuta andare diversamente. Almeno, lo abbiamo sperato tutti.

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