I dilettanti (o storia di un amore mai sbocciato)

Pochi minuti fa, la Juventus ha ufficialmente esonerato Maurizio Sarri con un tweet formale, freddo. Glaciale. Che ha sintetizzato probabilmente meglio di tutte le alternative possibili il rapporto tra l’allenatore e l’ambiente nell’ultimo anno. Del futuro del toscano si parlava già dalla tarda serata di ieri, quando Andrea Agnelli aveva promesso «riflessioni profonde» sulla gestione tecnica ai microfoni di Sky Sport.

Sarri ha pagato due finali perse (Supercoppa Italia, Coppa Italia, ndr) e l’eliminazione agli ottavi di Champions League contro il Lione, nonostante lui stesso avesse tenuto a chiarire prima del match che «solo dirigenti dilettanti giudicano in base al risultato di una partita». Eppure, così è stato. Così è sempre, nel mondo Juve. Dove portare a casa il risultato è davvero – purtroppo, nel caso di Sarri – l’unica cosa che conta.

Perché Sarri?
Al netto della diffidenza con cui la maggior parte dei napoletani ha guardato l’anno in bianconero dell’ex Comandante, è giusto porsi qualche domanda, lasciare adito a una riflessione sul senso intrinseco dell’approdo di Sarri in bianconero.

La Juventus è il club più “risultatista” (posto che termini come “risultatista” e “giochista” abbiano un senso reale) della Serie A, nonché uno dei più ossessionati dalla vittoria nel mondo. Forse secondo solo all’isterismo del Real Madrid. Insomma, la società di Agnelli bada solo ai risultati, non alla progettualità tecnica o tattica.

Questo è forse il messaggio più chiaro fornito dall’esonero di Sarri, che di per sé non è una grande notizia. In quanto, c’è da ammetterlo, mandare via un allenatore a certi livelli per scarsi risultati equivale a – come nel caso di Ancelotti – preservare investimenti da centinaia di milioni di euro. Allora, forse, è meglio spostare il tiro della domanda: perché prendere Sarri?

Contano solo i risultati
Considerando la squadra che la società bianconera ha messo a disposizione del tecnico, la risposta pare molto complessa. La Juve è una squadra che difende ancora in maniera posizionale; è fisica, ma lenta nello stretto e senza attitudine al palleggio. Insomma, la società ha messo in mano a Sarri la squadra meno “sarrista” del pianeta.

E non è solo un’aspirazione retorica: i progetti tecnici nascono, si formano, e vincono grazie a contributi reciproci. La sensazione, invece, è che anche il più grande club italiano abbia ormai da tempo rinunciato alla progettualità. La stessa che ha permesso a Klopp di vincere tutto con un’outsider come il Liverpool. E che sta portando Guardiola sul tetto d’Europa con il Manchester City.

Un’immagine che credo possa descrivere bene la dissonanza tra la squadra (e l’ambiente) e quello che Sarri avrebbe voluto impostare sta nel post-partita. Quando Fabio Capello ha chiesto all’ex allenatore del Napoli perché la Juve non riuscisse a riempire l’area di rigore (c’erano costantemente solo Ronaldo e Higuain), la risposta di Sarri è stata: «Mister, è un problema che ci portiamo dietro da tempo. È un problema che nasce con le caratteristiche dei giocatori». Che sembra una frase per un manuale di autolesionismo, ma è anche molto vicina alla verità.

La rosa della Juventus è riuscita a rigettare anche quelle poche innovazioni (difesa a zona, pressing collettivo) che il tecnico di Figline aveva introdotto. Lo ha dimostrato anche la partita di ieri, contro il Lione: senza Dybala, il castello tattico in fase offensiva è caduto. O meglio, il Lione di Garcia ha evidenziato quanto ne fossero instabili le basi. Il solo Cristiano Ronaldo non è bastato a portare avanti la Juventus. A portare avanti Sarri. Figlio di un progetto tecnico che a Torino, evidentemente, non è mai nato.

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