Al di là dei 90′ – Vol.1: Vinicio, il calcio totale e lo scudetto sfiorato

Al lettore
Sperimentare è sempre rischioso. Provare a raccontare storie avvenute e tramontate ben prima della propria nascita lo è probabilmente ancora di più. Però la tentazione c’è. Anche perché forse le storie che ci piacciono non dipendono tanto dall’esperienza in prima persona, quanto dalle emozioni che lasciano.

E’ per questo che nasce “Al di là dei 90′”: un angolo in cui si tenterà di ripercorrere le gesta di chi ha lasciato un segno nella Napoli del calcio, e non solo. Ma, soprattutto, uno spiraglio dove la fredda analisi dei 90 minuti, ovvero di una partita di calcio, sarà messa per un attimo da parte. Per scavare nel mito. Per rivivere ciò che lo sport più bello del mondo riesce a trasmettere meglio: la bellezza. 

Vinicio Luis De Menezes

Il Napoli, dai tempi della propria fondazione, nell’agosto del 1926, non è mai stata una realtà calcistica di grande tradizione. Dal dopoguerra in poi gli azzurri vagano tra la metà della classifica di Serie A e qualche retrocessione in seconda divisione.

La mediocrità della società partenopea, in termini di risultati sportivi, si avverte soprattutto sulla fine degli anni Cinquanta: quando dopo ottime campagne acquisti (con gli arrivi di Jeppson e Pesaola), il Napoli non vince trofei e, anzi, retrocede in B nel 1961.

Tra gli anni bui di fine decennio, però, una nota positiva s’intravede, ed è la stella della squadra: l’attaccante Luis Vinicio risulta forse l’unico calciatore capace di sostenere le vette dell’alta classifica. Con i 21 goal della stagione 1957-58 trascina infatti gli azzurri ad uno storico quarto posto.

Vinicio con la maglia del Napoli, in un’azione di gioco.

Tuttavia, qualche malumore dello spogliatoio e l’intesa mai scoccata nel tandem d’attacco con Del Vecchio, spingono ‘O Lione (così fu soprannominato) ad approdare al Bologna proprio nella stagione in cui gli azzurri retrocedono.

L’ultimo atto dell’avventura di Vinicio al Napoli sembra già consegnarlo alla leggenda: segna la rete decisiva per battere la Juventus (2-1) il 6 dicembre 1959, nella prima partita giocata dal Napoli al San Paolo. Ma, come vedremo, i motivi per cui è rimasto nei cuori dei tifosi azzurri sono anche altri.

Il legame con la piazza è forte e, nel 1973, arriva la grande occasione per tornare: Vinicio è allenatore da qualche anno, è stato all’Internapoli, a Brindisi e infine a Terni. Ma quando è chiamato a sostituire Chiappella alla guida del Napoli, sotto la nuova gestione di Corrado Ferlaino, non ha dubbi.

I primi esperimenti e la debacle contro la Juve

Dopo un terzo posto ottenuto nella prima stagione azzurra, Vinicio può finalmente provare ad adottare la tattica che più gli sta a cuore: la zona.

Secondo me la zona resta il tipo di gioco più redditizio. Ricordavo i miei tempi da calciatore. Si giocava sempre fuori dalla propria zona perché si doveva seguire l’uomo. Veniva tolta alla squadra la possibilità di esprimersi, di imbastire azioni. Invece, un avversario deve essere controllato dal giocatore più vicino a lui”.

Dice così, qualche anno dopo, quando gli viene chiesto di quegli anni di calcio altissimo. Tuttavia, all’inizio l’esperimento produce effetti. Anzi, sembra dannoso: specialmente quando il Napoli perde in casa contro la Juventus con un risultato roboante: 2-6.

La sconfitta contro i bianconeri fa scalpore. ‘O Lione viene considerato “visionario”: pubblico e stampa sono scettici verso il nuovo modulo. Perfino Gianni Brera definisce la tattica di Vinicio “cervellotica e pericolosa”. Insomma, le cose non sembrano andare per il verso giusto.

Il calcio totale

Eppure, Vinicio continua sulla sua strada. L’acquisto del 35enne Burgnich in estate gli ha permesso di cambiare la difesa: non schierando più il libero dietro tre marcatori, ma quattro uomini che difendono “in linea”, di reparto.

Figurine di alcuni protagonisti del Napoli 1974-1975.

La squadra, nonostante qualche sconfitta sonora, fa suo il messaggio che già l’Olanda di Cruijff e Michels aveva mandato ai mondiali del ’74 in Germania, arrivando a giocare un calcio quasi totale. Il gruppo azzurro diventa pensante, inizia a muoversi in funzione del pallone. Tenta di gestire sempre il possesso.

Questo permette al Napoli, contemporaneamente all’esplosione di Bruscolotti in difesa, poi campione d’Italia nel maggio ’87, e del brasiliano Clerici in attacco, insieme ai nuovi arrivi Massa e Orlandini, di lottare per l’alta classifica.

Il 1975 e lo scudetto sfiorato

La squadra di Vinicio diventa sempre più una macchina fluida, dinamica. Gioca stretta in 30 metri e, a differenza delle altre squadre italiane, ha fortissima vocazione offensiva. Non gioca aspettando l’avversario, ma provando a dominare le partite.

Le vittorie contro Ternana (7-1), Cagliari (5-0), Cesena (4-0) oltre che spettacolari sono decisive: permettono agli azzurri di mantenere la vetta del campionato insieme alla già citata Juve: nel ’75 la speranza del primo tricolore sembra stia per diventare realtà.

La prima pagina de “Il Mattino” il giorno dopo lo scontro diretto Juventus-Napoli, 7 aprile 1975.

Sembra, appunto. Perché lo scontro diretto al Delle Alpi contro la Juventus, di fine aprile, consegna di fatto il titolo ai bianconeri: decisivo è proprio quel José Altafini che segna il gol dell’ex e inchioda il risultato sul 2-1.

Il Napoli terminerà il campionato al secondo posto, con 41 punti, con il migliore attacco del torneo, scolpendo ogni magnifica azione offensiva negli occhi di tifosi ancora sorpresi da quella geniale innovazione. Da una squadra irriverente e elettrica ricordata come “il Napoli più bello della storia”.

Il declino

Come tutti i rivoluzionari, Vinicio, dopo l’entusiasmante avventura partenopea, dovrà però fare i conti con la realtà. La maggior parte dei calciatori italiani non è ancora pronta per assimilare quel modo di giocare, e gli esperimenti successivi ne sono la prova.

Giuseppe Wilson, capitano e libero della Lazio di Vinicio.

La parabola da allenatore di Vinicio subisce una flessione evidente prima alla Lazio, dove avendo un libero come Wilson deve rinunciare alla difesa in linea, e poi all’Udinese. Il tecnico brasiliano non riuscirà più a replicare quel calcio arioso, spumeggiante e “totale” di metà anni Settanta. Ma dovrà tornare alla marcatura a uomo e a un gioco piuttosto difensivista.

D’altronde, anche il Napoli che lascia, tranne qualche parentesi (terzo posto del 1981) tornerà a ballare nella parte medio-bassa della classifica per un decennio, fino all’arrivo di Maradona.

di Michele Cecere

 

 

Articolo precedenteNapoli Basket: è ufficiale, arriva Giga Janelidze. Playoff nel mirino!
Articolo successivoCallejon, facci dei bei regali in questi (ultimi?) mesi!