EDITORIALE – Il forte vento della Rivoluzione Sarrista

Nella storia del calcio ci sono state fasi e rivoluzioni che hanno cambiato il modo di vedere e di giocare. Ci fu l’Olanda di Cruijfff, la quale impose ordine e creatività, forza fisica e cervello, nonché la liberalizzazione dei ruoli, quella del fantasista soprattutto; il precursore di quello che poi sarebbe stato il tiki taka divenuto famoso in tutto il mondo con il Barcellona di Guardiola, passando precedentemente per il maestro Sacchi che con il Milan riprese lo schema del calcio totale degli olandesi – condito da allenamenti duri e intransigenti, con un’attenzione spasmodica sia alla linea difensiva che a quella offensiva – i quali portarono il club di Berlusconi in cima al tetto del mondo.

Il percorso di Sarri è stato ben diverso da coloro che hanno ispirato il suo modo di vedere il gioco del pallone. Non ha mai nascosto, d’altronde, che sia stato proprio l’ex allenatore rossonero a farlo innamorare di questo lavoro, spingendolo a lasciare il posto sicuro in banca e ad affrontare il viaggio-odissea che, poi, lo ha portato oggi ai vertici del calcio che conta. Non è solo un pedissequo rinnovamento filosofico e pratico sacchiano, ma una rivoluzione che sta iniziando ad entrare nella testa dei suoi calciatori e di chi segue questo sport.
Non ha undici campioni, non vuole undici campioni innanzitutto. Lui ha imparato a plasmare la squadra in base agli elementi che la società gli ha dato, riuscendo a captare le qualità e difetti di ciascuno di loro. Un’estrema finalizzazione di uno studio metodico il quale, anche se non in termini di trofei, ha distinto il suo Napoli rispetto a tutte le altre squadre d’Italia, diventando un esempio anche per gli allenatori europei.

Come disse in un’intervista Koulibaly Sarri vede cose che gli altri non vedono, piccole percezioni che diventano grandi cambiamenti se messi a posto. Maniacale nei dettagli, nella bellezza, perché lui crede profondamente che essere belli significa anche essere efficaci. Probabilmente se il Napoli non giocasse così bene, non si sarebbero raggiunti tali risultati. Certo, servono anche le partite sporche, ma mai dimenticare la propria identità, ciò che contraddistingue quegli undici in campo da qualsiasi altro avversario. Gli occhi sgranati di chi ha la fortuna, e tante volte la sfortuna, di affrontare gli azzurri è il segno più evidente che questa è una vera e propria rivoluzione. “Scoprire e riscoprire” gli imperativi categorici, come è successo con Albiol che da giocatore finito è diventato il perno di questa difesa; passando dal centrocampo, per esempio, con un Jorginho rivitalizzato, figlio di un cambiamento tattico che ha giovato alla sua crescita, finendo poi con il vero capolavoro di un giocatore come Dries Mertens che a trent’anni non sapeva di essere un centravanti, ma lo è a tutti gli effetti. Un’intuizione che è valsa la Champions e oggi, forse, lo scudetto.

Non è, dunque, solo una mera concezione di inefficienza, vincere sarà utile per concretizzare attraverso un trofeo tutto il lavoro svolto in questi tre anni. Sicuramente, però, anche se non dovesse arrivare il compimento reale di questa Rivoluzione, difficilmente potranno dimenticarsi di ciò che è stato fatto all’ombra del Vesuvio. La maturità, il pressing senza palla, la velocità di pensiero e di azione sono concetti che ogni domenica vengono messi in campo, chiunque sia la squadra da affrontare, sia che si giochi in casa, sia che si giochi fuori. I numeri spesso parlano, non dicono tutto, ma identificano l’operato e una stagione: il Napoli non perde in campionato dal 25 febbraio, al San Paolo contro l’Atalanta, poi tutte vittorie e 3 pareggi. Impressionante, quasi impareggiabile.
Bisogna ora migliorare nell’approccio con i club europei, è palese ancora l’inesperienza dei calciatori partenopei, ma soprattutto quella del mister che solo a 57 anni ha iniziato a sentire quella musichetta amata dai napoletani.
Un uomo che si è distinto dagli altri non solo per la tuta, l’abito è solo frutto di un’apparenza, ma per una carriera iniziata non proprio in giovanissima età e l’amore per la lettura e lo studio. La cultura è un elemento importante all’interno di una rivoluzione, l’intelligenza l’arma in più che ti porta ad arrivare prima degli altri. Non servono le convenzioni sociali, le “borghesate” tipiche dei giorni nostri per avere il giusto appeal. Sarri, come Maradona, incarna uno spirito ribelle ma mai fuori luogo; mediaticamente non rappresenta perfettamente lo stile del grande oratore ciceroniano, ma si fa capire, ed è questo il messaggio più importante che dovrebbe passare.

Non solo le belle parole, le frasi fatte, le solite risposte che ci si aspetta prima ancora di sentire la domanda. Lui devia il percorso abituale, elude la stampa, però ha sempre qualcosa di interessante da dire, con un linguaggio vicino al vulgus. Ed è anche questo che ha fatto innamorare gli addetti lavori ma anche i tifosi, cioè la parte genuina – almeno la maggior parte di loro – del calcio.
La presa al palazzo, quella che tanti ricordano nel territorio sovietico, può essere una metafora riportata alla situazione attuale. Il Napoli rappresenta la classe proletaria, quella non ricca, tuttavia la più importante all’interno di uno Stato. E se il Napoli vincerà, non sarà solo grazie al dio denaro, ma ad un credo intellettuale che riuscirà a battere i poteri forti.

Chiamatela, quindi, Rivoluzione Sarriana.

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