EDITORIALE – Il tuo cuore lo porto nel mio

Le lancette dell’orologio della memoria, dei ricordi più intrinsechi, stanotte hanno fatto vibrare le corde dell’animo dei tifosi napoletani più sensibili. Solo di un’ora, in realtà, sono state spostate indietro ma il cuore è andato ben oltre il confine temporale imposto dalla legge. Un gorgoglio di emozioni, ricordi, lacrime e preghiere hanno scosso il cuore dei tifosi azzurri, facendo da cornice al quadro amaro della notte più lunga degli ultimi tempi. Come può un cuore riuscire a dimenticare la ragione per cui ha battuto, la spinta che lo portava ad accelerare quasi fino a scoppiare. Come può un cuore sincero e profondamente innamorato non ricordare il suo amore, la sua parte più profonda che da se si è allontanata non facendo più ritorno.

“Il tuo cuore lo porto con me, lo porto nel mio. Non me ne divido mai. Dove vado io, vieni anche tu, mia amata”. Cummings parlando di cuore in una delle sue poesie diceva queste cose. L’universalità dell’amore consacrato nella realtà della vita e che scorre, senza argini di protezione, nelle arterie dei nostri sensi non conosce limiti e barriere. Il tempo è solo uno strumento che aiuta a trasformare una lacrima d’addio, di fine, in un sorriso malinconico di ricordo ed eterna riconoscenza. I secondi che diventano minuti, i minuti che diventano ore e quindi giorni, per diventare poi mesi ed anni non hanno il potere di scalfire la roccia dell’amore e della passione: essa arde in noi fin quando viviamo. Come si può non pensare ad un anno fa, come sarebbe possibile dimenticare quegli occhi lucidi all’uscita dallo Stadium a confronto di quelli di ieri, fieri per un gol che ha lacerato quel cuore che ancora batteva per lui. Vero, lo abbiamo disprezzato ed attaccato ma cerchiamo di essere obbiettivi con noi stessi, nessuno tanto mai ascolterà i vostri pensieri. Tutte le parole cattive e di rabbia non rappresentavano i nostri reali sentimenti. Rappresentavano solo il grido di dolore di perdere il proprio amato, come nu piezz e’ core che si stacca dal nostro sfuggendo alla nostra mano innamorata. Lo abbiamo visto abbracciato al nemico, amoreggiare con esso ma il nostro cuore non voleva arrendersi seppur noi scalciassimo desiderosi di allontanarne il ricordo, il peso ed il dolore. Nulla, però, scompare ma prende semplicemente nuove forme senza disperdere mai l’endocarpo che vive seppur nascosto da terra e terra buttata su di esso per coprirlo. Sapevamo ci avesse “tradito” ma, solo ieri, abbiamo toccato la sua felicità senza di noi e questo fa male e spiegarlo non è possibile. Avevamo provato, insieme a lui, a ricercare la felicità senza riuscirci, la stessa che ora divide noi dai nostri sogni avvicinando lui ai propri. Cosa importa oggi, a distanza di 24 ore, pensare che abbia segnato al minuto 71 e che non abbia esultato. Cosa ne guadagniamo oggi nel ricercare in quel che è accaduto necessariamente un peccato da parte sua. Se peccato è stato commesso, è quello di aver amato senza condizioni qualcuno che non siamo noi.

Non voglio il mondo, perché il mio, il più bello, il più vero sei tu”. Peccato è stato dimenticare che il nostro mondo, universo, è il Napoli e non uno dei suoi abitanti. Peccato è stato voler attribuire il dono dell’immortalità a chi, comunque la si ragioni, è un terreno. Peccato è stato, e scusateci se lo diciamo, aver già commesso in passato questo errore seppur con risultato diverso. Nella notte della sconfitta di Torino, allo scoccare della mezzanotte, Diego Armando Maradona celebrava il suo 56esimo compleanno. Il D10S, el Pibe de Oro, colui che ha “battezzato” con il proprio nome mezza Napoli negli anni 80. Gli anni degli scudetti, delle coppe. Gli anni delle prime volte, delle prime gioie e soddisfazioni da esportare in tutto lo stivale che, finalmente, vedeva gli azzurri ai vertici e non da esso schiacciato. Il riscatto sociale, la “vendetta” ai poteri logoranti ed arroganti del Nord. Quel Napoli sconfisse ogni tipo di avversario, sovvertendo quell’ordine gerarchico imposto da chi non contava certamente più di altri uomini. Maradona, uomo basso di statura ma alto più di un gigante agli occhi dei napoletani, sfidò -come Leonida- i poteri avversi, da Agnelli Berlusconi. Svestì i panni del “Dio” per scendere tra la gente, in mezzo al popolo, al centro del potere vero, perché nasce dal cuore e non subisce le correnti dei venti di convenienza e non appassisce ai primi freddi. E’ stata l’arma attraverso la quale un popolo, una città, levava alto al cielo quell’orgoglio ferito che preferiva nascondere quasi per vergogna. E’ stato portavoce di quel grido di passione, di voglia e necessità di essere -almeno per una volta e in qualcosa- migliori di chi, invece, li aveva sempre guardati dall’alto in basso. Come si potrebbe dimenticare il fiume di passione, d’amore e profonda esaltazione che un uomo venuto dall’Argentina ha portato a Napoli. Come si può pretendere che in una notte lunga come questa non si mischino i sapori di due emozioni così contrastanti e così simili per certi versi. Come potrebbe il nostro cuore non ubriacarsi di ricordi fino a perdere conoscenza, sospeso tra ciò che è stato e ciò che è ora, tra ciò che poteva essere e non è stato. Come potrebbe non dare colpa al destino, al fato beffardo e illusorio che prima sembra ti offra la mano per risalire per poi, un attimo dopo, lasciarti cadere in un precipizio ancor più grande.

“Non temo il fato perché il mio fato sei tu, mia dolce. Questo è il nostro segreto profondo. Radice di tutte le radici, germoglio di tutti i germogli e cielo dei cieli di un albero chiamato vita, che cresce più alto di quanto l’anima spera e la mente nasconde. Questa è la meraviglia che le stelle separa. Il tuo cuore lo porto con me, lo porto nel mio”. Se è vero che al cuore non possiamo comandare, che esso pur essendo in noi segue la direzione che più sente vicino a se, innamoriamoci di ciò che per sempre sarà nostro. I numeri e gli uomini passano, ciò che resta invariata è la fonte da cui sgorga la nostra passione. Il tempo cambia ogni cosa attorno noi, lì dove c’erano montagne domani potrebbero esserci fiumi. I fatti, le circostante più o meno pulite, trasformano ogni cosa che ci circonda. Il nostro unico punto fermo siamo proprio noi stessi. L’onore della maglia, la difesa della nostra città, l’orgoglio fiero e vivo di essere partenopei, il comune senso di fratellanza tra noi che coloriamo questa terra con la nostra vita: questo deve essere l’epicentro dal quale deve scatenarsi ogni respiro del nostro amore, della nostra passione e del nostro impegno. Nessuno, se non chi è napoletano, potrà comprendere il messaggio contenuto in queste parole. Non demandiamo a nessuno di confinare i nostri sogni, siamo noi invece ad inventare nuovi orizzonti lì anche dove non esistono.

“Il tuo cuore lo porto con me, lo porto nel mio”. 

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