L’edizione odierna de La Gazzetta dello Sport si concentra su un aspetto interessante legato ad Antonio Conte. Il quotidiano racconta di un personaggio che, da oltre un decennio, vaga per gli stadi di mezza Italia e oltre. Un collezionista di scudetti, così viene definito. E se l’occasione si presenta aggiunge perfino una Premier League alla sua bacheca. Il suo appetito non conosce limiti, alimentato dalla fame che cresce con ogni vittoria. Conte rappresenta un allenatore che, da anni, è abituato a rivoluzionare i destini dei club. Da Torino a Milano, il suo percorso lo porta ora verso Napoli. Oggi, a 55 anni, ha consolidato la sua natura vincente. Da quando ha lasciato il campo per dedicarsi alla panchina, vive in una spirale che lo tiene sempre sotto pressione. Ora, con 270 minuti e sette punti alla matematica, l’aritmetica sembra più un’opinione. Ci pensa lui, l’uomo che ha fatto della vittoria una missione. Già vent’anni fa, ai tempi del Bari, aveva manifestato quella mania. Vincere aiuta a vincere è la sua filosofia. La tensione pre-gara è una costante per lui. Ma quella stessa tensione diventa la spinta per riaccendere la sfida e ripartire. Il cosiddetto metodo-Conte ha preso forma a Torino e oggi trova piena espressione a Napoli. Quando nel 2011, la Juventus lo chiamò in soccorso, il club veniva da due settimi posti consecutivi. Lui ribaltò la situazione, infilando tre scudetti consecutivi. All’Inter raccolse una squadra lasciata in Champions e la portò al trionfo in campionato con un +12 punti sul Milan. Stavolta la sfida è diversa. Ha ereditato un gruppo scosso, con dieci veterani del trionfo di due anni fa ma orfano a gennaio di Kvaratskhelia, che può complicare qualsiasi progetto. Eppure, Conte sta riuscendo nell’impresa. Nonostante Napoli sia una piazza complessa dove certe cose non si possono fare.