EDITORIALE – La maledizione di Guttmann: quando il calcio incontra la magia

Normalmente, il primo Maggio é un giorno di festa, ma se si dovesse chiedere che cos’è il primo Maggio a un tifoso del Benfica, la risposta potrebbe non essere delle più simpatiche. Già, perché quel giorno la storia della gloriosa società di Lisbona non sarà più la stessa…

Nel lontano 1962, un uomo, Béla Guttmann, affermò qualcosa che ancora oggi puzza come una maledizione, ma facciamo un passo indietro.
Il Benfica degli anni ’60 é forse una delle compagini più spettacolari di sempre, con Eusebio che sfornava gol come se fossero biscotti. Guttmann, allora allenatore delle Aquile, chiese un aumento dell’ingaggio, cosa che il patron portoghese non gli concesse. Forse, un aumento del salario sarebbe stato più opportuno, viste le due Coppe dei Campioni vinte consecutivamente contro Real Madrid e Barcellona, ma il destino delle Aquile era ormai dietro l’angolo.

É, quindi, l’inizio della fine: “Senza di me, il Benfica non vincerà più nulla in campo europeo e internazionale per almeno cent’anni”, sentenziò l’allenatore magiaro.
Puó sembrare uno sfogo, questa frase. Ma letta col senno di poi diventerà un incubo per tutto l’ambiente Benfica: otto finali perse in mezzo secolo.

“Alakazam!”, e la vendetta di Guttmann si consumò in otto tragici atti che, a detta del vate ungherese, dureranno ancora quarantott’anni. Tralasciando la debacle contro il Milan di Rivera nel ’63, il Benfica cadrà pochi mesi più tardi contro l’Inter di Herrera. E poi, col passare degli anni, le sconfitte saranno ancor più amare: ai supplementari con lo United nel ’68, all’ultimo respiro contro il Chelsea nella finale di Europa League tre anni fa. Infine, la beffa dei rigori allo Juventus Stadium contro il Siviglia di Emery ventiquattro mesi fa, sempre nella finale di Europa League.

Insomma, non sono bastate lacrime e preghiere di tifosi ed ex-calciatori (come lo stesso Eusebio) sulla tomba di Guttmann (che ci ha lasciato una trentina d’anni fa) per scacciare questo sortilegio. Non é altresì bastato bruciare quanta salvia possibile, per allontanare la malasorte. Perchè questa maledizione si presenta puntuale come una cambiale ogni volta che il Benfica si trova a disputare una finale europea o internazionale.

Chissà se la dea bendata passerà per le strade di Lisbona, sponda rossobianca: un po’ di fortuna e, perché no, un pizzico d’ignoranza (calcistica, s’intende) potrebbe aiutare il povero Benfica, falcidiato dalle parole di un uomo, tanto talentuoso come allenatore, quanto diabolico e vendicativo.

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