EDITORIALE – Il mondo va veloce e tu vai indietro!

La logica della vita e del vivere è quella di guardare sempre innanzi ai proprio occhi, ponendo passo dopo passo per scalare la vetta dei nostri desideri, dei nostri sogni e delle nostre aspirazioni. Il bello o il brutto dei nostri tempi è che si ha poco tempo per far tutto, e forse molto tempo per non far niente. Di sicuro, però, c’è che quando si resta fermi ad osservare il mondo che cammina dal nostro trono, spesse volte arrogante e poco produttivo, la conseguenza è che il regno ai nostri piedi diverrà presto una palude pestilenziale. I soldi del capitalismo più povero che esista, l’arrivismo fraudolento di chi pretende di indossare abiti nobili pur avendo coscienze prive anche solo degli stracci più sporchi e vecchi per coprire le proprie pudenda, gli interessi ricattatori di avvoltoi che preferiscono avvelenare il mondo in cui vivono per godere di qualche minuto di gloria, tutto questo ed oltre è il male di una società che disperde se stessa. Corrompe la propria anima sull’altare delle convenienze, annichilendo le ultime speranze di redenzione e di perdono. Eppure, nonostante tutto, percorrono il sentiero dell’evoluzione da bravi cultori delle teorie Darwiniane. Sarebbe bello avere il potere di cambiare le sorti personali, e non solo, con la sola messa in atto della propria personalità, della propria illuminata intelligenza e fervore dialettico. Sarebbe bello riscrivere le pagine più infami di questa esistenza per ricolorarla come meglio dovrebbe essere. Sarebbe bello ma non è così, sarebbe perfetto ma ci stiamo illudendo. In fondo il calcio è solo una spaccato della nostra vita, momenti più o meno lunghi di qualcosa di molto più importante eppure, per molti, rappresenta la vita stessa che cammina. I tifosi del Napoli hanno ascoltato per anni sequenze di barzellette, aneddoti e prese di posizione dittatoriali ma, ad oggi, il recinto dove rinchiudere i propri sogni si restringe sempre più dall’evidenza della realtà più cinica. Si parlava di società modello, di idee rivoluzionarie che avrebbero dovuto far sbocciare nella Napoli calcistica un nuovo rinascimento sportivo. Gli anni trascorrono e, che piaccia o meno, tutti diventiamo sempre più vecchi. I quinquenni si sono susseguiti eppure il problema sorto già diverso molto tempo è rimasto dov’era. Parliamo della personalità, della maturazione di una squadra che più volte si è avvicinata a traguardi importanti ma che, come per dispetto, si è sciolta come neve utopica dinanzi al sole della realtà. I cicli si susseguono ma, pensateci bene, il problema resta sempre lo stesso. Un problema nella vita è un limite che ci ostacola il cammino. Esistono dei modi, però, per aggirare la problematica: si cambia percorso o si elimina l’ostacolo con il sudore della fronte. Non importa quale delle due soluzioni sceglieremo, la cosa che più conterà sarà decidere qualcosa e perseverare in tale direzione. Sarebbe delittuoso ed offensivo per coloro che dispongono della ragione continuare, come tanti pappagalli, a ripetere un concetto falso illudendo di colorare un mondo destinato ad essere in bianco e nero. Non esiste infatti nessuna bugia più squalificante di un’illusione gratuita da spacciare come realtà stupefacente al popolo. Eppure basterebbe poco, molto poco. Servirebbe solo aver chiarezza sui programmi e articolare la società come tale e non come accadeva nell’antichità dove c’era il pater familias. Basterebbe scendere da quel piedistallo sempre più irritante e comunicare davvero con il popolo, anzichè imbottirlo di spot elettorali esibizionisti e stucchevoli, propagandistici di un qualcosa che non esiste.

Proprio in queste ore, seppur dopo mille fatiche, la Roma ha avuto la concessione per edificare il proprio stadio. La dirigenza giallorossa si è scontrata con la stessa burocrazia contro la quale il Napoli ha tentato di fare in questi anni. I primi hanno vinto, i secondi hanno perso. Hanno perso perché evidentemente avevano meno interesse ad arrivare fino in fondo, avevano meno volontà di muovere un sistema così articolato muovendo ingenti somme di denaro. Non rifugiamoci dietro le bambinate espresse comunicato dopo comunicato, andiamo invece alla fonte. Qualcuno ha voluto realizzare un qualcosa e ci è riuscito, altri no. Semplicemente questo. Dobbiamo quindi tenerci una squadra che, nonostante tutto e per ora, è ai vertici del calcio senza avere uno stadio adeguato, e nel ritenerlo non adeguato traspare una notevole bontà.

L’immobilismo imprenditoriale si riflette, ovviamente, anche sulla gestione sportiva. Vero che 13 anni fa il Napoli è fallito, che a Paestum non c’erano nemmeno i palloni per allenarsi, vero tutto. Vero anche, però, che noi tutti viviamo nel presente e non nelle cartoline di un passato che è stato. Da due mesi è scoccato il 2017 e i tempi troppo spesso ricordati sono lontani, lontani come le possibilità che questa squadra vinca qualcosa. L’attuale dirigenza ha dimostrato di non poter competere con i grandi club dal punto di vista economico, bene, ma almeno avrebbe dovuto competere sotto il profilo delle idee e della progettazione. Così invece non è perché non appena il “laboratorio” sforna giocatori ed emerge la perla rara questa viene venduta. Alcune parole, rilette con attenzione massima, evidenziano questo concetto. Chi vince, da sempre, professa che vincere non sia importante ma che è l’unica cosa che conti, altri professano che vincere non sia importante in funzione della sperimentazione dei nuovi acquisti. In questa differenza si espande il mondo azzurro. Il Napoli non è altro che un prestigioso laboratorio dove si affinano talenti per prepararli a cessioni dalle notevoli plusvalenze. Con questa progettazione non sarà mai possibile vincere.

Alla gestione sportiva si somma anche quella comunicativa, ovviamente, per completare il puzzle degli orrori. Moda degli ultimi tempi è la “storia” che si tratti di Instagram o di Facebook, Snapchat o WhatsApp. Il Napoli però, ovviamente, effettua il silenzio stampa. Non si effettuano conferenze stampa per presentare i nuovi acquisti, non si può assistere agli allenamenti, non si fanno conferenze stampe e non si parla dopo alcune trasferte. Tutto deve tacere, anche il il buon Giuntoli. E’ così, forse, perché a parlare basta uno. Solo lui può e nessun’altro diffondere nell’ambiente azzurro, di volta in volta, “aiuti” a migliorare. Da certe sue esternazioni non è mai scaturito nulla di buono partendo da rassicurazioni smentite poco dopo dai fatti, vedi il caso Higuain. Il susseguirsi sgradevole ed imbarazzante ha avuto come massima il post Madrid. Casualmente, proprio da lì, la squadra ha avuto un flessione umorale e tecnica notevole. Il giocattolo è rotto, distrutto. Sicuramente ora, con gli obbiettivi stagionali che andranno a scemare, si potrà sperimentare la bontà del mercato svolto e preparare il terreno perché magari tra un anno le clausole inserite nei contratti possano essere esercitate da chi vuole vincere, da chi investe, da chi vuol essere protagonista e non comparsa, seppur benestante.

Purtroppo da questa “galera dorata” non si può sfuggire, chi per contratto e chi per appartenenza di cuore. Non ci resta che ascoltare la musica e sognare la “liberazione” ma, forse, non servirebbe nemmeno questo. Potremmo abbatterci infatti nella canzone di Tiziano Ferro che ci ricorda che “il mondo va veloce e tu vai indietro, se cerchi mi vedi, il bene più prezioso sfugge all’uomo che non guarda avanti, mai”.

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